Durante l’epidemia, le telecamere dei telegiornali sono arrivate ovunque: nelle terapie intensive, nei pronto soccorsi e nelle RSA. Sulla scorta dei numeri ufficiali sui contagiati, hanno raccontato live la drammatica situazione della Lombardia e del Nord-Italia. Ma proprio i dati pubblicati ogni giorno dalla Protezione Civile hanno finito col distrarre l’occhio dei giornalisti da quello che succedeva nella case dove, anche per diversi mesi, gli ammalati sono rimasti invisibili. Le loro incredibili storie sono state così raccolte da Diletta Giuffrida: insieme alla squadra di SkyTg24, ha realizzato un profondo e toccante speciale dal titolo ‘Invisibili, il Covid sommerso’. “Abbiamo raccontato bene cosa stava succedendo nelle terapie intensive, con il lockdown…Ma mancava un pezzo di storia, quella di chi si era ammalato ma era rimasto a casa. E almeno in Lombardia, è stata la maggioranza delle persone contagiate dal Covid”.
Come nasce l’idea dello speciale?
“Avevo ricevuto un audio su whatsapp da una conoscente. In questo audio una donna si stava sfogando con un’amica per la delicata situazione che stava vivendo. Si era ammalata di Covid ed essendo mamma aveva preferito allontanare da casa la figlia per paura di contagiarla: non la vedeva da 37 giorni. Nessuno però le aveva fatto il tampone, e non sapeva se facendola riavvicinare – anche se ormai si sentiva bene – l’avrebbe messa in pericolo. La sua storia mi ha aperto gli occhi su questa invisibile realtà. Così, la chiacchierata è diventata un’intervista, poi un pezzo del TG e, infine, insieme con altre storie simili, uno speciale da 25 minuti”.
Hai raccolto tante testimonianze di cittadini lombardi.
“Non pensavo ci fossero così tante persone ammalate ma rimaste fuori dalle statistiche ufficiali – le parole di Diletta Giuffrida a Calciomercato.it–. Ho iniziato a parlare con loro, a conoscere le loro storie e quelle dei medici”.
Molte anche le testimonianze di medici di famiglia – totalmente abbandonati dalle istituzioni.
“Non avevano dispositivi di protezione individuale, non avevano diagnostica e non avevano indicazioni sulla terapia da far seguire a chi, ammalato, era rimasto a casa. Quindi molti hanno deciso di mettersi in contatto e di fare rete. E c’è chi, in assenza di protocolli ufficiali, si è assunto la responsabilità di prescrivere farmaci che erano di esclusiva pertinenza ospedaliera. Potevano essere denunciati per questo, ma hanno preferito agire piuttosto che limitarsi a prescrivere la tachipirina. Negli ospedali i medici vedevano solo la punta dell’iceberg, ci si è concentrati solo sull’ospedalizzazione e sui ricoveri ma non su cosa stava accadendo nelle case. Una cura tempestiva, magari a casa, forse avrebbe aiutato a gestire meglio l’emergenza, evitando che le strutture sanitarie andassero in sofferenza”.
La storia che ti ha colpito di più?
“Da mamma, sicuramente la vicenda della donna che non ha potuto vedere la figlia per 37 giorni…Sai che tua figlia ha bisogno di te perché particolarmente fragile, ma allo stesso tempo ti chiedi ‘come faccio a stare con lei se poi sono ancora contagiosa’? Poi c’è Valeria, rimasta tre mesi senza sapere cosa aveva, senza essere mai stata visitata, senza un tampone, nonostante una sua cara amica fosse finita in terapia intensiva a causa del Covid. A seguirla è stato solo il suo medico curante, con i pochi mezzi che aveva e lasciandola in quarantena fiduciaria. Sono due storie emblematiche della situazione”.
Tutte vicende rimaste sommerse.
“Uno dei problemi più gravi e che ha riguardato la maggior parte delle persone contagiate. Continuerò a seguire a vicenda tamponi in Lombardia. Anche se da cittadina mi auguro di non doverla più raccontare: significherebbe che l’emergenza è davvero finita o quantomeno che le cose iniziano a funzionare così come dovrebbero”.
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