A quasi un anno dal suo arrivo, Eriksen ha fatto poco per convincere Conte. Le statistiche confermano le sue difficoltà all’Inter
La curiosità è diventata ben presto dubbio: è questo il vero Eriksen? Per mesi, i tifosi dell’Inter lo hanno aspettato, rifiutando di fidarsi delle prime impressioni. Poi si sono arresi. L’amore con Conte non è sbocciato, Marotta ha aperto all’addio, a gennaio le strade potrebbero separarsi. Un vero peccato per l’attesa che aveva scortato le settimane di trattativa col Tottenham. In Serie A stava arrivando un campione, dalla Serie A andrà via un equivoco.
Conte ha provato a inserirlo, ma per il bene collettivo, ad un certo punto, è stato costretto a fare una scelta. Oggi Eriksen, 300′ in stagione, è un panchinaro. Lui, spesso vittima della vicenda, ha fatto poco per cambiare il suo destino. Si è lasciato cullare dagli elogi, dalla stampa a favore, convinto che a 28 anni, con 69 gol e 89 assist in Premier League, fossero gli altri a dover adeguarsi e non lui a fare un passo indietro. Ma correndo di più.
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Ben venga il talento, con Conte, se unito al dinamismo, alla forza fisica, al sacrificio. Eriksen spicca per classe e difetta in altri fondamentali dettagli. Lo dicono le statistiche. Una in particolare: con 7.1 km di media a partita, il danese è uno dei calciatori che corre meno nell’Inter. Alle sue spalle solo lo sfortunato Sensi, Nainggolan, Pinamonti e, ovviamente, Handanovic. Gli altri centrocampisti volano: Barella 10.5, Brozovic 9.6, Vidal 8.6. Lo prevede il gioco di Conte, lo prevede il contesto: in Serie A, più di 300 calciatori corrono più di lui, coprendo meglio il campo.
In fase difensiva, a differenza dei suoi compagni di reparto, Eriksen è fragile. Barella è primo nei contrasti (2.5 a partita) e Vidal nelle palle intercettate (2.1) mentre il danese è fermo a 0.6 e 0.4. Non esiste, per Conte, il trequartista classico, non lo prevede neppure il calcio moderno. Diranno: Eriksen gioca senza fiducia. Ma anche lo scorso anno, appena arrivato, carico e motivato, non brillava per questi numeri: 0.6 contrasti a partita e neppure una palla intercettata nei suoi primi mesi all’Inter.
Non difende, Eriksen, ma neppure illumina la manovra. In porta, quest’anno, non ha mai tirato. Il passo non è svelto, i compagni vanno altrove, lui fa poco per imporsi. Senza troppa grinta. Da fermo sarebbe geniale, ma il pallone ha traiettorie dinamiche e solo correndo aumentano le possibilità di incontrarlo. Lo scorso anno era sesto, nell’Inter, per passaggi chiave a partita (1.3), ora è ottavo (1) e non incide neppure nella costruzione della manovra: 32 passaggi di media, dodicesimo della sua squadra, con precisione pari all’86.3%. Sono numeri freddi che offrono una prospettiva inedita d’analisi: Eriksen ha fatto poco, sul campo, per convincere Conte. La fiducia mai avvertita è un alibi parziale. C’è tanto di suo, in negativo, nell’epilogo ormai scritto di una storia che l’Inter aveva immaginato diversa.
di Fabio Tarantino
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