Dall’Argentinos Juniors al Boca, passando per Napoli e Siviglia: tutti i retroscena dei trasferimenti di Diego Armando Maradona
La Juventus disse no a Diego Armando Maradona. Pierpaolo Marino, attuale dirigente dell’Udinese, nel 1984 lavorava per l’Avellino. Era in contatto col Barcellona per organizzare un’amichevole, seppe della volontà di Diego di lasciare la Spagna e propose il calciatore ai bianconeri. Boniperti ringraziò e rifiutò: non è un profilo da Juventus. D’altronde, il suo volto era scugnizzo. La trattativa conclusa dal Napoli è stata lunga, complessa, ricca di ostacoli. Era un altro calcio e un altro mercato, c’erano meno strategie ma le stesse bugie, gli stessi trucchi.
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La trattativa col Napoli, del presidente Ferlaino, cominciò ufficialmente il 26 maggio, si concluse il 30 giugno. Nel mezzo quaranta giorni di fuoco, di viaggi e salite, rincorse e diplomazie. Il Napoli fece di tutto per acquistare Maradona. Ci pensò quando Juliano, dg dell’epoca, contattò il Barcellona per un’amichevole. Scoprì, in quell’occasione, che Diego aveva problemi col club. Aveva 23 anni el Pibe de Oro, famoso già in doppia cifra d’età, bimbo prodigio all’Argentinos Juniors, tifoso del Boca e per questo fiero di vestire quella maglia, nel 1981, ceduto per 2 milioni di dollari più una manciata di calciatori scambiati come figurine.
Il Barcellona lo acquistò l’anno dopo, costò 12 miliardi di lire, fu annunciato al termine dei Mondiali dell’82. In Spagna, Diego visse due anni tormentati. Dentro e fuori dal campo. Non legò troppo con la città: i sudamericani, a Barcellona, erano i Sudaca. Esisteva, nei loro confronti, diffidenza. Per questo, quando seppe del Napoli, Maradona fece di tutto per favorire il trasferimento. Diego conosceva le difficoltà della complessa trattativa e in ogni intervista, strategicamente, spingeva per la fumata bianca. “Sarebbe un sogno”. Si avvererà.
La trattativa per Maradona fu raccontata ogni giorno, nei minimi dettagli, dai cronisti dell’epoca. L’unico ostacolo del Napoli era la diffidenza del Barcellona. Non c’erano altre società interessate. Non potevano esserci. Nel 1984 la Serie A era il campionato più importante, patria dei migliori stranieri, e Diego aveva ormai scelto: voleva il Napoli. Aspettò ansioso per settimane. Il Barcellona chiese garanzie al Napoli, non si fidava delle rassicurazioni di Ferlaino. All’alba della trattativa, il club lesse sui giornali spagnoli una notizia: il Napoli è una società morosa. Non aveva neppure uno stadio di proprietà.
Pensarono: come faranno a pagare il più forte giocatore al mondo? Ci riuscì, il Napoli, grazie a diversi personaggi. Il sindaco Scotti mise in contatto Ferlaino con Ventriglia, presidente del Banco di Napoli. Fu lui a garantire presso il Banco di Bilbao le fideiussioni richieste. Maradona costò al Napoli 13 miliardi di lire, 7 milioni e mezzo di dollari. La trattativa si concluse in extremis, a fine mercato. Non c’era più tempo: Ferlaino corse in Lega, a Milano. Depositò una busta vuota. La riempì col vero contratto firmato da Maradona – raggiunto in volo a Barcellona – il giorno dopo. La penna de Dios.
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Quando Diego diventa Maradona, la sua vita cambia. Di Napoli, ad un certo punto, non ne potrà più. Chiederà la cessione. Arriva il Marsiglia, nell’89. Ferlaino rifiuta: il presidente Tapie gli invia un assegno privato, serve solo la sua firma, ma lui non vuole saperne. Moggi, direttore sportivo di quel Napoli, prega Ferlaino affinché ceda Maradona. Ha paura per il suo futuro, sa che la situazione, per Diego, si era fatta complicata. Ferlaino non cambia idea. Moggi se ne va. Maradona sarà ceduto, ma al Siviglia, nel 1992. “Per me è la fine di un incubo” dirà Diego.
Ferlaino pone due condizioni: il Siviglia non dovrà cederlo a nessun’altra società europea e Maradona non dovrà mai incontrare il Napoli da avversario. L’offerta al Napoli è di 9 milioni di dollari e 7 per due stagioni al giocatore. Il Siviglia non salderà mai del tutto il pagamento, autorizzata dalla Fifa, per i comportamenti di Diego. La sua avventura in Spagna dura un anno. Nel ’93 torna in Argentina, al Newell’s Old Boys. Poi, nel ’95, di nuovo il Boca Juniors. Fino al ’97. Ma la storia era già stata scritta.
di Fabio Tarantino
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