Josip Ilicic ha ritrovato il gol in Champions col Liverpool dopo un avvio difficile. La cura Gasperini sta funzionando
Dev’esserci stato un patto segreto, un accordo di sguardi, un’intesa oltre il giudizio del campo. Gasperini si è fidato di Ilicic nel momento peggiore, quando era diverso, la copia sbiadita dell’artista che era diventato. Poteva esaurirsi, la pazienza, ad un certo punto, invece Gasperini ne ha avuta tanta, anche troppa, sopportando gli errori e le mancanze, l’apparente pigrizia e il fiatone precoce, convinto ne valesse la pena.
La magia non scompare, è solo un trucco: Ilicic è tornato ad Anfield, certo un gol non fa primavera, ma può bastare per tornare a sorridere come non accadeva da troppo tempo. L’assist non è stato solo di Gomez. Dietro quella zampata, quell’allungo a rischio strappo, c’è la mano sapiente di Gasperini, stavolta lo psicologo, mica l’allenatore, perché un tecnico, un giocatore così, dopo Cesena, lo avrebbe lasciato in panchina, rivolgendosi ad altri.
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La fiducia ripagata nonostante le delusioni
Gasperini si è fidato di Ilicic perché avrà ricevuto garanzie, una promessa al buio, una richiesta sincera: fammi giocare, ti ripagherò. Solo che Ilicic si era dimenticato di fissare una scadenza. I tifosi lo attendevano da troppo tempo. Il 17 ottobre, al San Paolo, contro il Napoli, era tornato dopo i mesi del Covid, della depressione e del ritorno a casa, del crollo di Josip, il ragazzo, che aveva tradito anche un gigante come Ilicic, il campione.
Quattro presenze in campionato, mai una sufficienza. Voti bassi, nessun gol, zero assist. Ilicic paga l’assenza prolungata e i fantasmi del passato. Non ha il passo lungo, gli sprint sono rari, la porta sembra lontanissima. A Liverpool, guarda caso, il gol arriva quando si riaccende un po’ la luce. Ilicic ritrova anche la forza di credere a un pallone vagante in area.
Ilicic e l’arte del dribbling da fermo
Un giocatore non scende mai a compromessi col suo istinto e Ilicic è rimasto se stesso anche nelle difficoltà . Pur avendo giocato appena 282 minuti, è già primo in Serie A per dribbling: 6.8 a partita. Di questi 4.3 riusciti. Un’ottima media. Alle sue spalle Messias, Ribery e Boga. Ilicic, pur non brillante, è terzo per passaggi chiave (8), davanti a lui solo Calhanoglu (10) e De Paul (10). Anche da fermo, col suo sinistro, ha fatto viaggiare il pallone, ha verticalizzato per i compagni, ha disorientato gli avversari.
Cos’è cambiato? Non c’era il supporto del prossimo passo. Dopo ogni dribbling, anche riuscito, gli mancava la forza per proseguire la corsa, le gambe erano pesanti. Si spiegano così le 4.3 palle perse a partita, secondo in Serie A dietro Kargbo. Dopo ogni errore, testa bassa, il fiatone e appena qualche rientro. Un allenatore che non legge il nome sulla maglietta lo avrebbe cambiato subito. Ma lui era Ilicic. E meritava comunque un’altra chance.
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