Sinisa Mihajlovic si racconta a cuore aperto nella malattia, senza filtri: le sue emozioni e la sua forza di rialzarsi, oltre ai sogni realizzare e quelli ancora da realizzare
Il Bologna fa un altro bel balzo in avanti in classifica grazie alla vittoria di misura contro il Crotone, la seconda di fila. La squadra di Sinisa Mihajlovic è a quota 12 punti, staccata dalla zona rossa della classifica. La posizione dell’allenatore serbo in rossoblù è ormai consolidata, sta vivendo un momento importante nella sua vita tra la malattia, il Covid e l’uscita della sua biografia. Lo stesso Mihajlovic si è raccontato anche in un’intervista a ‘Sky Sport’: “La vita è una cosa meravigliosa, soprattutto quando passi quello che ho passato io, ogni volta che ti svegli è una vittoria. Cerco di godermi al massimo la vita. Io sono nato due volte, la prima il 20 febbraio e la seconda il 29 ottobre. Ho passato i primi 50 anni, oggi ho 1 anno e 1 mese e magari tra 50 anni faccio un altro libro”.
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Mihajlovic parla a cuore aperto delle sue emozioni: “Il pianto ti viene da dentro, prima lo tenevo per me, ma ho capito che piangere è una cosa positiva. Vedere un uomo duro che piange fa tenerezza. Con questa malattia ho imparato a non tenermi niente dentro, esprimere le mie emozioni. Quando mi sento di piangere lo faccio, non me ne frega niente e non mi vergogno. Nessuno deve vergognarsene. Io amo mia moglie, però si lamenta sempre che non esprimo i miei sentimenti. È come con mia madre, che quando vado a casa mia durante il viaggio penso di abbracciarla e baciarla, ma poi quando la vedo mi blocco. Ora non la vedo da tanto, sono sicuro che a Natale riuscirò ad abbracciarla”.
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Sinisa Mihajlovic racconta le sensazioni e i pensieri durante la malattia, cosa gli ha dato la forza di superarla: “Avevo paura, ma non ho mai perso la speranza, legata alla voglia di vivere e combattere. Non potevo permettere che andassi via, per mia moglie, i figli e la gente che mi vuole bene. Non potevo permettere che mia madre mi piangesse sul davanzale, perché la vita non è questa. Ho avuto il coraggio, mi nutrivo di questo. Poi se non ci fossero state le cure dei medici non ne sarei uscito ovviamente fuori”.
“Mi sveglio sempre felice, anche in ospedale. Il mio momento preferito era la mattina, anche se non potevo uscire. Di notte ero un po’ così, restavo da solo, ti passa tutto in testa in quei momenti. Sognare sempre il tuo funerale è strano. Però ero contento perché vedevo tutta quella gente venuta per salutarmi, all’inizio ero felice perché era una marea di gente e vedevo quanto ero amato. Però mi veniva tanta tristezza perché ero lì sopra e non potevo stare in mezzo a loro. Dentro di me sapevo che avrei avuto una malattia brutta, anche se non ero preparato. Quando me l’hanno detto ho passato tre giornate brutte, poi sono ripartito forte. E da lì fino a oggi non ho mai messo in dubbio il fatto che ne sarei uscito vincitore“.
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L’allenatore del Bologna racconta poi tre immagini significative della sua vita: “Cosa mi rimarrà per sempre del calcio? La vittoria in Coppa Campioni con la Stella Rossa, la mia squadra del cuore. Sono riuscito in qualcosa che sognano tutti i bambini, è una vittoria che non si può paragonare con nessun’altra, è qualcosa che ti porti dall’infanzia. Un giorno sicuramente allenerò la Stella Rossa, non so quando. I miei sogni li ho realizzati quasi tutti, non so quanto ci metterò ma allenare la Stella Rossa è sicuramente un sogno. La famiglia? Un uomo si può sentire realizzato quando forma una famiglia, essere genitore è molto complicato e difficile. Io e Arianna siamo sposati da 25 anni, succede a pochi. Cercare di portare i figli sulla strada giusta, sapendo cosa è rispetto e lealtà, allora avremo fatto un ottimo lavoro. E non è paragonabile a nient’altro, anche a livello sportivo.
La guerra è una cosa bruttissima, per alcuni aspetti vorrei non poterla ricordare ma per altri non vorrei dimenticarla mai. Non c’è un vincitore, ma prevale un solo colore, il rosso del sangue delle vittime, innocenti. Spero che il Covid passi il prima possibile, mi preme molto. Io sono stato asintomatico, ma vedo la gente che soffre, che magari non arriva alla fine del mese, senza lavoro e senza cari. Sarò l’uomo più contento del mondo quando finirà questo virus, perché il calcio così non è calcio e la vita non è vita. Solo noi però possiamo uscirne tutti insieme e sono convinto che lo faremo. Uno dei motivi del libro è trasmettere quello che ho passato, dare speranza alle persone, che nella malattia non devono mai perdere la voglia di vivere e di combattere. E sensibilizzare le persone alla donazione, in Italia sono sempre meno. Donare è una cosa nobile e salva la vita, e non è così difficile farlo”.
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