Ha scritto la storia del calcio italiano da allenatore, ora Arrigo Sacchi commenta le dimissioni di Cesare Prandelli. Le sue dichiarazioni sfociano anche nell’analisi della sua personale situazione
Il caso relativo Cesare Prandelli ha scosso l’intero mondo del calcio nelle ultime ore. Il tecnico, come vi abbiamo riportato nella giornata di ieri, ha deciso di rassegnare le dimissioni da allenatore della Fiorentina. Ora al suo posto è subentrato Iachini. Prandelli ha, inoltre, espresso in maniera piuttosto chiara la sua decisione di non proseguire qui la sua carriera: “In questi mesi è cresciuta dentro di me un’ombra che ha cambiato anche il mio modo di vedere le cose. Sono consapevole che la mia carriera di allenatore possa finire qui, ma non ho rimpianti e non voglio averne”.
Parole forti che fanno discutere e richiamano l’attenzione pubblica nelle ultime ore. A tal proposito, anche Arrigo Sacchi si è espresso sulla decisione di Prandelli, approvandola. Di seguito le sue dichiarazioni al ‘Corriere della Sera’: “Cesare lo conosco da trent’anni. Fui io a volerlo come allenatore al Parma. Appena ho saputo, gli ho inviato un messaggio. In Italia ci vuole coraggio a dimettersi, perché non lo fa nessuno. E non parlo solo del calcio, ma anche delle istituzioni”.
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Fiorentina, Sacchi dalla decisione di Prandelli alla sua storia
Sacchi prosegue nella sua sentita analisi: “Da noi chi si dimette è visto come un perdente, invece non è così. Ci vuole più coraggio a farsi da parte. Cesare poteva andare avanti, far finta di nulla e prendere lo stipendio. Invece per rispetto verso se stesso e il club ha fatto un gesto di dignità e intelligenza, da grande uomo qual è”.
L’ex allenatore del Milan e della Nazionale passa al vaglio poi la sua situazione personale: “Il mio ritiro avvenne dopo una vittoria. Chiamai mia moglie e le dissi: ‘Basta, è finita’. Per la prima volta non avevo provato nessuna soddisfazione, nulla”. Sacchi spiega poi perché non si è mai pentito della sua scelta: “Smettere è stata la seconda decisione più giusta della mia vita dopo quella di fare l’allenatore. Ho dato tutto me stesso per 27 anni sempre con lo stesso impegno, lo stesso perfezionismo. Lo stress è stato un compagno di vita, ma quando ho percepito che la gioia per una vittoria non compensava più lo stress, ho capito che il mio tempo da allenatore era finito”.