Ritratto di Antonio Conte, il primo allenatore che restituisce lo scudetto all’Inter dopo l’ultimo, del 2010, vinto da Mourinho
Antonio Conte trattava il suo ingaggio col Siena, nel 2010, quando l’Inter vinse il suo ultimo scudetto. Undici anni dopo è l’uomo copertina di un trionfo ottenuto senza neppure sudare, ma al termine di un campionato strano, condito da critiche, da sorrisi nascosti, da rabbia e nervosismo come alleati insospettabili. Conte non ha mai accettato l’etichetta di “favoriti” pur sapendo d’esserlo, con quella rosa e quegli attaccanti, con le ferite dei rivali – la Juve non c’è mai stata e il Milan è stata illusione – e il vento in poppa da gennaio in poi, senza la Champions e i suoi incalcolabili rischi.
Lo scudetto dell’Inter resta il tricolore di Conte, che si conferma allenatore ideale per i grandi trionfi, certo con un ingaggio riservato a pochi, ma con quell’innata capacità (che gli va riconosciuta) di condurre una squadra al traguardo usando ogni strategia possibile. Non è stato difficile vincere questo, il diciannovesimo, ma lui vi dirà che è stato sofferto, difficile. In conferenza stampa, prima di Crotone, aveva parlato di “opera d’arte” pur sapendo che fallire, quello sì, sarebbe stato un capolavoro d’autolesionismo.
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Lo scudetto di Conte
Se ne ricordano pochi, di sorrisi, sul volto di Conte. Nervoso a inizio anno, dopo le prime vittorie, facendo scudo per le critiche ricevute, trascinando con sé le incertezze dell’ultima estate, il colloquio con la dirigenza e il rischio addio prontamente scongiurato. Fino a dicembre è stato pugile, ha respinto colpo su colpo le accuse, si è difeso (spesso male) parlando troppo di arbitri per la disfatta europea che è una macchia che resta sulla stagione, eppure oggi impercettibile a occhio nudo. Non c’è spazio per i rimpianti se uscire ai gironi Champions è stato il prezzo (alto) da pagare per il successo. Forse, però, si poteva ottenere uno sconto.
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Conte e il mercato: la società aveva ragione
La società ha lavorato al suo fianco per accontentarlo sul mercato, eppure ha vinto la linea della dirigenza, non (solo) la sua: non è un caso che il primo gol dello scudetto sia di Eriksen, l’uomo che Conte aveva prima messo da parte (convinto dell’addio) e poi è stato costretto a riabilitare, anche perché il suo uomo, quello di fiducia, Vidal, lo aveva già abbondantemente tradito. Neppure Kolarov ha lasciato il segno, un acquisto che poteva essere evitato.
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Altri sono stati i meriti di Conte: aver cucito la squadra attorno a Lukaku e Lautaro, aver valorizzato i giovani forti (Mancini lo ringrazia per Bastoni e Barella), reso indispensabili anche le alternative (Darmian) e riaccolto, in gruppo, giocatori che sembravano ormai ex (Perisic). Non è detto, anzi è difficile, che Conte inauguri un nuovo ciclo come alla Juventus dal 2011 in poi, ma questo scudetto, per com’è arrivato, per l’iniziale scetticismo e gli ostacoli disinnescati, è stato un altro merito che Conte può cucirsi in petto. Ma le imprese sono altre.