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Roma, le pagelle della stagione: Mkhitaryan trascina, Fonseca perde la bussola

Da Fonseca, Pedro e Kumbulla a Mkhitaryan, Veretout e Pellegrini: dai tanti flop ai trascinatori, le pagelle della stagione 2020/21 della Roma

Si è conclusa una stagione per la Roma dai toni fortemente negativi. Out agli ottavi di Coppa Italia, semifinale di Europa League persa malamente e settimo posto in campionato con la Conference League guadagnato nel finale. Da Fonseca a Mkhitaryan, Pellegrini, Kumbulla, Veretout, Smalling e Dzeko: le pagelle stagionali della Roma.

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Le pagelle della Roma della stagione 2020/21: da Fonseca a Mkhitaryan

Pau Lopez 5 (34 presenze, 38 gol subiti): il secondo anno di Paul Lopez alla Roma non è stato meglio del primo. Sicurezza tra i pali poca, più che altro quando il pallone passa dai suoi piedi c’è da farsi il segno della croce. Decisamente meglio quando si tratta di usare le mani, con qualche prestazione sopra le righe e parate decisive, vedi Amsterdam. Ritrova il posto da titolare nel girone di ritorno, più che per meriti suoi per provare a rivalutarlo in sede di mercato. Invece a Manchester si fa male alla spalla e praticamente salterà tutta la preparazione estiva. Venderlo sarà più di un’impresa. Il saldo è negativo.

Mirante 5 (15 presenze, 29 gol subiti): se Atene piange, Sparta non ride. Parte lui da titolare, dà comunque più affidabilità a Fonseca rispetto a Pau Lopez. Però per la Roma non è proprio l’anno dei portieri, è spessissimo ai box per infortunio. Certo, a quasi 38 anni non può essere lui la panacea di tutti i mali. A Manchester ci mette pure lui lo zampino. Ha il contratto in scadenza: sarà addio.

Fuzato 6 (6 presenze, 8 gol subiti): esordisce nella serata disgraziata in Coppa Italia con lo Spezia e non impressiona. Dopo il prestito con zero presenze in Portogallo, Fonseca lo butta nella mischia nell’ultima parte di stagione. Ci mette un paio di match prima di carburare, ma chiude in crescendo mettendosi in mostra soprattutto nel derby e poi nell’ultima con lo Spezia. Sarà da stabilire a tavolino il suo futuro.

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Pau Lopez (Getty Images)

Mancini 7 (41 presenze, 5 gol): di tutta la rosa della Roma è tra i migliori della stagione. Cresce in maniera esponenziale partita dopo partita, per personalità, tempi di gioco con e senza il pallone. In un’annata totalmente negativa a livello difensivo per i giallorossi e senza certezze, è l’ancora a cui la Roma si aggrappa. Gli altri ruotano, anche per colpa degli infortuni, ma lui resta l’imprescindibile. A tratti è un muro, fino a marzo regge la ‘baracca’ anche se in Europa alla fine arriva qualche défaillance di troppo che costa cara. Si concede pure il lusso di gol importanti, sui calci piazzati è sempre il più pericoloso. Alla lunga cala, ma Fonseca non può che ringraziarlo perché è l’unico difensore degno di questo nome.

Ibanez 5,5 (40 presenze, 2 gol): diciamo che il giocatore in rampa di lancio e in crescita esponenziale che avevamo intravisto lo scorso anno ha un po’ giocato a nascondino. Soprattutto nella seconda parte di stagione sono davvero troppi gli svarioni del brasiliano, che alterna all’interno della stessa partita giocate importanti e strafalcioni. Sulle potenzialità non ci sono dubbi, a difettare sono concentrazione e continuità. Il derby d’andata e la partita di Amsterdam con l’Ajax sono il simbolo di un difensore che ha perso la bussola un po’ troppo spesso. Poi quando alza il livello fa vedere di poter essere completo e dominante. Pinto gli ha rinnovato il contratto, con Mourinho dovrà lavorare soprattutto sulla testa.

Smalling 5 (21 presenze): chissà cosa avrebbe dato Fonseca per averlo a disposizione tutta la stagione. Meno di 15 partite da titolare sulle 53 totali giocate in stagione dalla Roma bastano a rendere l’idea. Un infortunio dopo l’altro, poi episodi extra-campo che lo hanno tenuto fuori dai radar per troppo tempo. La sua assenza è pesata parecchio, quando è stato in campo ha collezionato diversi errori, vedi Spezia.

Kumbulla 4,5 (27 presenze, 2 gol): come prima stagione non è stata indimenticabile, anzi. La Roma ha investito molto su di lui, una cifra che al momento non è stata ripagata. Di partite buone se ne ricordano davvero poche, anche se c’è da dire che gli infortuni gli hanno dato poca tregua. Quando è stato disponibile però non è mai riuscito a insidiare i titolari, anzi a tratti è stato da mani nei capelli. A 21 anni comunque una stagione d’assestamento, all’arrivo in un grande club e con tante pressioni, gli si può concedere. Ora però ci si aspetta molto di più da lui.

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Mancini © Getty Images

Fazio 5 (11 presenze, 1 gol): fuori dalla lista Uefa nei turni a eliminazione diretta, in campionato torna in campo solo a febbraio quando Fonseca è in emergenza totale. Sei partite in Serie A non indimenticabili, con lui titolare la Roma non vince mai. Non semplice comunque neanche entrare subito pronto a 34 anni dopo una lunga inattività e giocare pure fuori ruolo. Si cercherà di cederlo a tutti i costi, l’anno di contratto che ancora gli resta non è proprio leggerissimo: circa 5 milioni lordi.

Jesus 5 (11 presenze): in realtà si potrebbe fare tranquillamente copia e incolla con Fazio. Stesse partite giocate e divise allo stesso modo tra campionato ed Europa League, anche lui out dalla lista Uefa e non molto affidabile. L’unica differenza è che lui ha il contratto in scadenza tra un mese e quindi saluterà subito senza troppi patemi.

Karsdorp 6,5 (45 presenze, 1 gol): doveva fare le valigie l’estate scorsa, poi il colloquio con la dirigenza ha cambiato le prospettive. E col senno di poi è stata una scelta azzeccata, perché Karsdorp è insieme a Mancini il giocatore più cresciuto di questa Roma. La chiave è stata la ritrovata condizione fisica: in difesa è migliorato tantissimo, ha capito che nei due esterni lui doveva restare più guardingo. È il miglior crossatore di questa squadra e alla fine 6 assist sono un ottimo bottino. Ha pochi passaggi a vuoto e buonissima continuità, anche se dovrebbe avere più personalità e non accontentarsi.

Bruno Peres 5.5 (44 presenze, 2 gol): che dire, oltre al fatto che il suo ultimo anno si è quasi trascinato stancamente. I continui infortuni e il turnover hanno costretto Fonseca a schierarlo parecchie volte, quasi sempre a sinistra. Ha alternato prestazioni bruttine ad altre insipide, quasi mai importanti. Poca attitudine alla difesa, tutt’altro che irresistibile anche in proiezione offensiva. Spesso passa inosservato. Il gol al Sassuolo al ritorno, però, alla fine risulta essere decisivo per la Conference League.

Spinazzola 7,5 (39 presenza, 2 gol): per fortuna che sulla fascia sinistra il titolare è stato di ben altra pasta. Spinazzola è stata la vera arma in più, letale, di Fonseca. In ogni partita il 60% delle azioni della Roma passano per i suoi piedi e le sue sfrecciate. Gli avversari riescono a malapena a prendergli la targa, ha una facilità di saltare l’uomo impressionante. L’approccio alla gara è sempre quello giusto, peccato che 14 partite giocate senza di lui (solo 7 vinte) siano state un po’ troppe. Gli 8 assist finali potevano essere di più, se fosse stato più preciso. Soprattutto il bottino dei gol è po’ povero, ma concludere a rete non è il suo forte. Il rammarico è legato soprattutto agli ultimi 40 giorni di infortuni. Per il resto immarcabile e imprescindibile.

Calafiori 5,5 (8 presenze, 1 gol): difficile dare giudizi su un classe 2002 chiamato a essere in rosa, sulla carta, il vice-Spinazzola ma che deve saltare una trentina di partite tra infortuni muscolari e Covid. Resta la bella immagine al suo primo gol con lo Young Boys.

Spinazzola (getty images)

Reynolds 5 (5 presenze): per l’americano la situazione non è diversissima. Arriva a gennaio con tanta curiosità e attesa, gli viene concesso un periodo di adattamento che però, visto come si muove in campo, sarebbe dovuto essere decisamente più lungo. Va rimandato in tutto e per tutto, ma fa parte dei programmi.

Santon 5 (10 presenze): gioca le prime 4 e le ultime 6. Apre e chiude, male, il cerchio. In questo finale Fonseca lo riesuma dopo 6 mesi, non semplice per chiunque soprattutto in una squadra che prende imbarcate a ripetizione. Un altro addio designato, ma non così semplice da concretizzare.

Cristante 5,5 (48 presenze, 2 gol): discorso complesso per il tuttofare della Roma. La metà delle partite la gioca da difensore centrale, lui che è un trequartista e già da centrocampista centrale sarebbe adattato. Questa è la premessa doverosa, perché porta alla conclusione che Cristante viene messo per quasi tutta la stagione in condizioni di sbagliare. Poi gli errori sono sempre gli stessi, nel posizionamento in area sui cross, con il pallone da ultimo uomo, nell’anticipo, nei tempi di uscita. Di certo lui ci mette del suo. Le prestazioni positive in difesa in tutta la stagione si contano sulle dita di una mano, nel finale di stagione a centrocampo la musica è ovviamente diversa. Qualità e buona visione, tra i pochi a saper calciare bene da fuori. Però qualcuno lo preferiva più vicino alla sua di porta, pur di andare in campo con la difesa a tre.

Darboe sv (6 presenze): dargli un voto non sarebbe giusto, ma è doveroso menzionarlo e dedicargli un paio di righe. Perché è entrato all’improvviso, in emergenza totale con una Roma allo sbando e contro il Manchester United. Lui gli ha dato freschezza e perfino lucidità. Si è calato nella situazione con una personalità pazzesca, capacità di mantenere la calma anche col pallone tra i piedi. Fonseca arriverà a dire addirittura che Darboe ha cambiato la Roma. Magari un po’ esagerato, però fa capire l’impatto. E la storia raccontata in mondovisione dopo Roma-Manchester vale il prezzo. Ora calma e lasciatelo crescere.

Veretout 7,5 (38 presenze, 11 gol): senza di lui tre vittorie su nove in campionato. L’incidenza di Veretout sulla Roma è enorme, pari a quella di Spinazzola. Anche qui purtroppo ci ritroviamo a commentare un giocatore che ha saltato 15 partite, in momenti clou della stagione. È sul podio dei goleador giallorossi di stagione (con 5 assist), sempre decisivo. Arriva a giocare anche da esterno di centrocampo, per Fonseca è il motorino della squadra che detta e guida i tempi di pressione del centrocampo e ribalta in maniera immediata l’azione. Senza di lui la Roma cambia modo di giocare ed è molto meno efficace, pericolosa e prolifica. Con Mourinho la sensazione è che il suo ruolo di leader si consoliderà.

Diawara 5 (28 presenze, 1 gol): nel girone di andata finisce in fondo alle gerarchie, Fonseca non lo vede proprio e nelle poche occasioni a disposizione si impegna a fornire al proprio allenatore dei validi motivi per continuare a tenerlo fuori. Poi qualcosa scatta, forse soprattutto fisicamente, e il guineano cambia marcia, sorpassa tutti e vive un momento di ottima forma in cui sembra un altro giocatore. Ma è proprio un momento. Torna in fretta a cadere nelle solite difficoltà.

Roma, Spinazzola e Diawara ©️ Getty Images

Villar 6 (47 presenze): fino a marzo il suo peso qualitativo in mezzo al campo si sente. Permette e Veretout di scorrazzare per il campo e liberarsi per le sue incursioni in area. È quello che decide i tempi, la gestione del pallone, e lo fa sempre con personalità e lucidità. L’apprendistato dello scorso anno viene tradotto in campo, diventa insostituibile e anche i tifosi impazziscono per lui. Poi da marzo qualcosa cambia, si rompe, magari proprio con Fonseca. E lui perde quotazioni, scivola nelle gerarchie, e quando è di nuovo il suo turno l’atteggiamento non è quello giusto. Forse poca umiltà. Resta una stagione positiva.

Pellegrini 7 (47 presenze, 11 gol): i numeri sono dalla sua parte visti pure i 9 assist. Si trova nel bel mezzo della tempesta Fonseca-Dzeko, di cui cerca di essere il mediatore. Eredita la fascia di capitano, spesso si trova vittima di qualche polemica gratuita. In alcune fasi della stagione, lui molto sensibile, soffre alcune situazioni esterne, ma in partita dà sempre tutto. Si carica la squadra sulle spalle sia tecnicamente che caratterialmente. In una squadra che molla, lui è tra i pochissimi a non farlo. Vitale il gol all’ultimo secondo con lo Spezia all’andata. Quando arriva in area e negli ultimi metri ancora gli tremano le gambe e sbaglia la scelta. Qualcosa gli manca, ma gli si può dire poco. Ora serve il rinnovo.

Mkhitaryan 7,5 (46 presenze, 15 gol): in campionato salta 4 partite, la Roma di queste ne vince una ma solo al 92’. Negli ultimi metri di campo è il giocatore che sposta di più. Fonseca attribuisce sempre alla sua assenza il calo di marzo che allontana la Roma dalla Champions. E in effetti le tre partite senza vittoria prima della resa segnata dal pari col Sassuolo, sono proprio quelle in cui l’armeno è mancato all’improvviso. I numeri parlano per lui (con pure 13 assist), uno con certe cifre alla Roma non lo vedevano dai tempi di Salah. Trascina per tre quarti di stagione, poi un lungo digiuno da gol e l’infortunio. Ma la Roma era lì, sintomo che il peso di Mkhitaryan va oltre l’apporto realizzativo. Al rientro però non è lo stesso. Anche con lo Spezia all’ultima va a fiammate, ma all’85’ è lui a segnare il gol che manda la Roma in Europa. I giallorossi lo riconfermerebbero più che volentieri, lui si è preso dell’altro tempo per riflettere.

Pedro 5 (40 presenze, 6 gol): vive due stagioni in una. Parte a razzo, fino a dicembre è lanciatissimo. Poi c’è una data e un episodio preciso: 6 dicembre 2020, Roma-Sassuolo. Espulsione per doppia ammonizione, un po’ ingenua. Da lì comincia la flessione dello spagnolo. Il ko con la Lazio e soprattutto la disfatta con lo Spezia in Coppa Italia segnano l’inizio della definitiva fine. Pedro si fa male di nuovo, per quasi un mese sta fuori per un ‘fastidio muscolare’ non meglio definito. La serataccia di coppa cambia qualcosa con Fonseca, tante volte si ritrova discutere con lui a favore di telecamera. Il posto è perso, gioca solo scampoli di partita. Nel 2021 in generale è un giocatore irriconoscibile, quasi un corpo estraneo. In questo finale torna a far intravedere qualcosa, tipo il derby. Ma è tardino.

El Shaarawy 5,5 (14 presenze, 1 gol): il suo ritorno alla Roma non è proprio indimenticabile. Anzi. A livello realizzativo non incide, anche se uno dei due gol – il primo e unico in campionato – arriva proprio all’ultima con lo Spezia ed è decisivo per la qualificazione in Conference League. Anche lui si fa male sul più bello, ma in generale non lascia il segno, nonostante l’applicazione e la voglia che non mancano mai. Dovrà conquistarsi un posto nella nuova Roma, ma non è scontato.

Spinazzola e Mkhitaryan (Getty Images)

Pastore sv (5 presenze): un calvario di più di 9 mesi, poi il rientro con 77 minuti totali spalmati su 5 partite nel finale di campionato. Forse è arrivato il momento di chiudere il capitolo.

Carles Perez 5 (31 presenze, 3 gol): un altro dei trequartisti a disposizione della Roma ma che, al momento del bisogno, non sono stati in grado di dare un apporto significativo. Se possibile Fonseca lo tiene in panchina, ma anche quando scende in campo – da titolare o subentrato – va un po’ per conto suo. Va solo a fiammate, si accende e si spegne con una rapidità incredibile, ma il più delle volte è arruffone, frenetico, sbatte sugli avversari. Gioca più individualmente che con i compagni, alla fine il suo contributo è praticamente a un passo dallo zero.

Zaniolo sv: un’assenza pesante per tutta la stagione, per Mourinho potrà essere il top player su cui ricostruire. Anche se ci sarà comunque da aspettarlo qualche settimana.

Dzeko 6 (38 presenze, 13 gol): è normale che ogni tipo di giudizio su Dzeko sia condizionato dalla rottura con Fonseca consumatasi a gennaio dopo Roma-Spezia di Coppa Italia. La discussione col mister gli è costata la fascia di capitano e il posto da titolare: fino a quel momento i numeri parlavano di 8 gol totali. Invece è arrivata la punizione e da lì, in campionato, Dzeko non ha più segnato. Titolare in Europa League, in cui lascia il segno dimostrando di essere ancora il più forte. Con il suo allenatore arriva a una tregua armata, ma non è più la stessa cosa. Nella prima parte di stagione Dzeko segna pure gol pesanti, in Europa League poi c’è la gioia al ritorno con l’Ajax. Con lo Spezia potrebbe aver giocato gli ultimi minuti con la maglia più importante della sua carriera. La sensazione, comunque, è che abbia ancora qualcosa da dare nonostante i 35 anni.

Borja Mayoral 7 (47 presenze, 17 gol): preso per fare il vice-Dzeko, ci mette qualche partita a carburare e all’inizio somiglia parecchio a un flop. Ma quasi subito comincia a carburare, costruendo la sua fortuna con le piccole. Alla fine è il capocannoniere stagionale della Roma. Punisce in serie Parma, Crotone, Spezia, Verona, Bologna e Torino. Fino ai sedicesimi di Europa League fa il suo con 7 gol. Sbaglia diversi gol clamorosi nella prima parte, ma ha la grande qualità di migliorare e diventare più cattivo. La stagione è positiva, fa quello per cui viene acquistato e anche di più. Si è fatto apprezzare parecchio anche fuori dal campo e dai tifosi, la Roma potrebbe davvero decidere di allungare il prestito dal Real Madrid.

Fonseca 4 (53 partite, 28 vittorie): 14 sconfitte e 11 pari, ma soprattutto 75 gol subiti. Per numeri la peggior Roma degli ultimi 10 anni. Una semifinale di Europa League abbandonata malamente, ko in casa agli ottavi di Coppa Italia e settimo posto in campionato raggiunto miracolosamente a 5 minuti dalla fine in rimonta contro una squadra già salva. Vero che il numero esorbitante di infortuni – ma sugli allenamenti in tanti a Trigoria avrebbero da ridire – lo penalizzano in maniera importante. Fonseca non è però riuscito a trovare uno straccio di piano B, ha perso tutti gli scontri diretti con un bottino desolante. Da Sassuolo-Roma 2-2 del 3 aprile, i giallorossi hanno smesso di giocare la Serie A. Tutto sull’Europa League, ma poi l’ennesimo crollo. Ha commesso sempre gli stessi errori contro le stesse squadre. Si è ostinato a schierare la difesa a tre con un trequartista come perno centrale e giocatori fuori ruolo (Fazio a sinistra, ali impiegate come braccetti difensivi ecc…). Poi la tragicomica sconfitta con lo Spezia in Coppa Italia. Da lì anche lo spogliatoio ha definitivamente perso la fiducia nei suoi confronti. Rinunciare a Dzeko è stato un autogol. Poi una fase difensiva disastrosa, per non dire ridicola. Poco carisma e polso con la squadra, che pure qualche segnale pubblico glielo ha lanciato. Tatticamente, in due anni, Fonseca ha capito poco o nulla del calcio italiano. Mollare a due mesi dalla fine è fuori dal mondo. Con lo stile e l’eleganza (in realtà più furbizia, ma sorvoliamo…) non si allena in Serie A.

Paulo Fonseca © Getty Images

Tiago Pinto 6: è arrivato a gennaio all’improvviso si è dovuto subito confrontare con una realtà e delle pressioni, un ambiente che in primis lui non si aspettava. Non parla mai, anche se a volte servirebbe, ma è la linea della società. A gennaio non servivano grossi colpi, ma El Shaarawy e Reynolds non sono stati particolarmente utili. Si è preparato al mercato estivo blindando parecchi giovani della Primavera e due possibili futuri pilastri come Ibanez e Karsdorp. Questo sarà il suo primo vero mercato, insieme a Ryan Friedkin e Mourinho. Dovrà essere bravo prima di tutto a cedere, sfoltire e abbassare il monte ingaggi per poi puntellare con i 4-5 giocatori indicati da Mourinho. E nel frattempo lavorare sui rinnovi. Il lavoro è complicatissimo: in bocca al lupo.

Francesco Iucca

Giornalista pubblicista, dal 2013 inseguo un sogno. Sempre alla ricerca di 'cosa c'è dietro'. Tengo alla lontana quelli che 'Il calcio è solo un gioco', ma Roger Federer è il mio dio. Totalmente dipendente dal calciomercato e dall'adrenalina dell'ultimo giorno. Amo la musica, cantante a tempo perso.

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