L’Italia ha trovato il suo nuovo condottiero: Mancini ha saputo fare meglio di Conte, cancellando la buia parentesi della gestione Ventura
Stessa generazione, con appena cinque anni di differenza, stesso periodo di attività, un percorso molto simile per quanto riguarda la carriera da allenatore, dall’Italia all’estero, approdando alla nazionale, per scrivere pagine di storia degli azzurri. Da un lato Roberto Mancini, classe ’64, in attività come calciatore dal 1981 al 2001, dall’altro lato Antonio Conte, classe ’69, centrocampista che in carriera ha vestito solo due maglie, quelle di Lecce e Juventus, dall’85 al 2004. Storie simili, che si ricongiungono con l’azzurro, che hanno guidato a risultati quasi insperati in due Europei diversi. Adesso, però, uno dei due ha deciso di guardare l’altro dall’alto: si tratta di Roberto Mancini.
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I valori delle due squadre allenate da Conte e Mancini sono diversi, evidenti, ma la capacità di lavorare sul gruppo, di creare un insieme di giocatori in grado di muoversi come una sola entità ha permesso a entrambi i commissari tecnici di raggiungere grandi risultati. Nel 2016 l’avventura europea dell’Italia ci aveva fatto vivere grandi emozioni, con la vittoria sul Belgio e sulla Svezia, che ci avevano proiettato al primo posto nel girone. La sconfitta contro l’Irlanda era stata l’unica grande pecca di quell’avventura, che in comune con quella di Mancini ha la vittoria sulla Spagna: quest’anno ai rigori, dopo aver saputo soffrire e arginare gli avversari, quella volta secca, con un 2-0 fatto di grinta e di una rete liberatoria nel pieno recupero, firmata da Pellé.
Di quella squadra sono rimasti soltanto Bonucci, Chiellini, Sirigu e Florenzi, oltre a De Rossi, che però adesso siede in panchina: il nostro attacco titolare era formato da Pellé ed Eder, che aveva raggiunto il suo momento più prolifico in assoluto, grazie all’Inter e agli anni alla Sampdoria. Una coppia inaspettata, inimmaginabile per andare ad assaltare un Europeo. Timidamente si avvicinavano al gruppo nazionale Insigne, Immobile e Bernardeschi. Il sogno svanito ai quarti di finale contro la Germania, per i famosi rigori di Zaza e Pellé, ancora ben impressi nella testa di tutti quanti noi, ci trascinò in un baratro di disperazione che ci fece per un attimo dimenticare il capolavoro compiuto da Antonio Conte: portare quasi alla vigilia dell’ultimo atto una squadra dalla quale aveva saputo spremere l’essenza più profonda, facendola diventare un gruppo coeso.
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Un principio dal quale ha saputo ripartire anche Mancini, che ha avuto un compito ben più arduo: se Conte, infatti, aveva ripreso un gruppo che veniva da quattro anni con Cesare Prandelli e dalla delusione dell’eliminazione ai Mondiali del 2014, il tecnico di Jesi ha dovuto fare tabula rasa, dal punto di vista psicologico, della parentesi Ventura-Tavecchio, uno dei punti più bassi, dal punto di vista dei risultati ottenuti, della storia recente della nazionale azzurra. Con quella mancata qualificazione ai Mondiali del 2018, con uno spareggio con la Svezia mal gestito, al quale aveva fatto seguito un altrettanto deludente interregno di Di Biagio, l’Italia aveva bisogno di una vera scossa.
Mantenendo parte dell’ossatura, ripartendo da un centrocampo fatto di qualità e sostanza, una difesa che può ancora contare sull’esperienza di Bonucci e di Chiellini, Mancini ha saputo rinnovare una generazione inserendo anche giovani come Bastoni – contro il Galles capace di annullare Bale – o lo stesso Donnarumma, pronto a darci garanzie per almeno dieci anni, se non di più. Caricando Insigne di responsabilità, ha permesso a Locatelli, Pessina, Di Lorenzo e Spinazzola di completare un percorso di crescita che aveva bisogno di un momento di spessore azzurro.
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Adesso, quindi, Mancini può guardare tutti dall’alto, inserendo nel proprio Palmares un Europeo di calcio vinto contro ogni aspettativa, contro i pronostici che volevano Francia, Germania e Inghilterra, appunto, favorite alla vigilia. Lo ha vinto creando un gruppo in grado di andare oltre anche alcune prestazioni incerte del centravanti più atteso, Immobile, e di abbassare la saracinesca della propria porta, concedendo solo a Morata, prima di stasera, una rete su azione. Un trionfo che colora l’Europa di azzurro, dopo troppo tempo e che lascia ben sperare per quanto accadrà tra un anno e mezzo: perché questo gruppo, adesso, deve poter entrare nella storia e fiondarsi ai Mondiali con la grinta di un allenatore che a Wembley ha saputo prendersi la sua rivincita. Quel trionfo che nel 1992 Koeman strappò dalle mani sue e di Vialli la Champions League con la Sampdoria. Dal blu all’azzurro, in qualche modo Mancini ha saputo colorarla Londra.
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