L’errore di Orsato in Juve-Roma si sostanzia in un unico neo: non aver atteso tre secondi per l’andamento dell’azione. La negazione del Var
Daniele Orsato di Schio è stato un ottimo arbitro: nessun dubbio. Passerà alla storia, però, come una sorta di nemico del Var. Dopo la mancata ammonizione a Pjanic in Inter-Juve del 2018, ancora una volta ha in qualche modo sbagliato una decisione fondamentale per l’esito del match. Tutto questo perché non utilizza la tecnologia come dovrebbe. Già pochi istanti dopo l’assegnazione della rigore alla Roma, nelle chat tra arbitri ed addetti ai lavori girava un solo ed unico commento. Perché Orsato non ha atteso 3 secondi, perché non ha aspettato quell’attimo in più per consentirsi la possibilità di decidere attraverso l’ausilio del Var? Ha fatto la sua scelta con una metodica antiquata, quella dello stabilire che il calcio di rigore è il massimo vantaggio possibile. Una regola vera fino a qualche anno fa. I tempi cambiano, la tecnologia evolve ed il calcio con essa. Questo è il motivo per il quale l’Associazione Italiana Arbitri deve imporre, anche ad Orsato, l’utilizzo della tecnologia. Per sgombrare il campo dalle solite ombre, per cancellare qualsiasi dubbio. Orsato non può e non deve essere tacciato di nulla, sia chiaro: le sue decisioni, però, appaiono schiave di schemi che non appartengono al 2021.
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Questo è il motivo per il quale è giusto che l’Aia mandi segnali precisi ed inequivocabili. Orsato andrebbe messo al Var per le prossime settimane, se non fino alla fine della stagione: non è una punizione, ma solo una via per spiegare che non si torna indietro, che non si deroga la trasparenza, che non si può immaginare un futuro senza uno schema tecnologico ben preciso. Se la Juventus dovesse vincere per un punto il campionato, se la Roma per un punto non dovessi andare in Champions, si potrà parlare di effetto Orsato sul campionato? Forse sì.
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Ed è questo che non deve più accadere: il supporto del Var, dopo diversi anni dalla sua introduzione. Non può essere sfrattato e mortificato in questo modo. Questo è il motivo per cui Trentalange, presidente dell’Aia, deve tracciare una strada diversa. Partendo da un presupposto: Rocchi, il suo frontman, si esponga e spieghi anche gli errori. Il progetto di un rinnovamento non cada sotto i colpi della paura e del vano orgoglio di chi pensi di poter fare a meno della tecnologia in un calcio che viaggia a velocità folli.
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