Il giornalista sportivo si è spento oggi all’età di 75 anni a Roma. Era malato da tempo
«Andiamo a vincere!». La voce roca, inconfondibile e concitata racconta l’impresa dei canottieri Giuseppe e Carmine Abbagnale, vincitori nel 1988 dell’oro olimpico ai Giochi di Seul. Un’impresa memorabile e una telecronaca da brividi, entrata nel cuore e nella memoria di tutti, quella di Giampiero Galeazzi, giornalista sportivo italiano, scomparso oggi a Roma all’età di 75 anni dopo una lunga malattia.
Giampiero Galeazzi era un uomo di sport: un tifoso, un esperto conoscitore di tutte le discipline, un praticante e un giornalista. Nato a Roma nel 1946, e laureato in Economia e Commercio, ha rivoluzionato il giornalismo televiso. Alle sue spalle una carriera agonistica da canottiere. Poi l’approdo in Rai nel 1970 dove ha lavorato per sempre, sia come inviato dei principali eventi internazionali (Olimpiadi, Mondiali di calcio e varie manifestazioni) sia partecipando a tutte le trasmissioni sportive di rilievo, da Dribbling alla Domenica Sportiva, da Mercoledì Sport a 90° Minuto, che ha condotto fino al 1999. Maradona, Conti, Gullit, Chinaglia e tanti altri campioni svelati nelle interviste a bordocampo con ironia e originalità. Il grande pubblico lo ha seguito soprattutto come commentatore di calcio, tennis e canottaggio, e ha amato ancor di più come intrattenitore nel 1994. Quando Mara Venier lo volle accanto a sé a Domenica In, facendo emergere le sue qualità di intrattenitore.
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Grande tifoso della Lazio, lo scorso anno aveva svelato un aneddoto: “Fu molto emozionante lo Scudetto del 2000 – raccontò a Rai1 – Abbandonai la telecronaca del tennis quando dovevo andare a fare le interviste. Non era previsto assolutamente nulla, tutto fu improvvisato: mi portai dietro la troupe del tennis, al Foro Italico, e la feci camminare verso di me con la radio all’orecchio in attesa delle ultime battute della partita Perugia-Juventus. A quel punto il servizio era già nato, facendo sentire che la Lazio stava per vincere lo Scudetto: camminando incontro un frate, gli dissi, ‘C’è un Dio allora!’, perché mi sembrava davvero il frutto del fato, e poi le cose andarono come sappiamo ed entrai all’interno dello stadio, in Curva Nord, per festeggiare. Questo è stato un momento importantissimo sia professionalmente sia come tifoso: non c’era nessuno della Rai, a parte chi doveva fare la sintesi della partita. Erano tutti a Perugia, e io fui l’unico testimone tra i giornalisti di quel momento”.
Intuito e senso della notizia applicati ad una grande preparazione e umiltà. Doti che Galeazzi ha portato con sé anche negli ultimi anni, quando dalla sua abitazione di Roma nord partecipava ai programmi sportivi collegandosi da remoto. Nel 2016 seguì il ritiro della Lazio ad Auronzo di Cadore per qualche giorno, approfittando della presentazione del suo libro a Cortina d’Ampezzo “L’inviato non nasce per caso”, e dispensava consigli preziosi ai giovani cronisti. Da buon romano scherzava sul soprannome di “Bisteccone” per il suo fisico imponente. Un fuoriclasse assoluto del mondo del giornalismo che manca già a tutto il pubblico.
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