Zaniolo e Zalewski incarnano la filosofia romanista di Mourinho, improntata sulla mediazione tra giovani e star
Li differenzia una vocale: l’ultima del nome, in un caso anche accentata, e se non hai l’accento mica la fai così facilmente una tripletta. Nicola Zalewski e Nicolò Zaniolo sintetizzano i due modi più efficaci di essere José Mourinho a Roma: che non è come esserlo stato all’Inter, al Real, al Chelsea, allo United. E nemmeno al Tottenham. Mourinho a Roma è venuto a fare la sua scommessa, su se stesso. Vinco solo con le star o vinco anche quando sono chiamato a costruire? Ecco la differenza. E se Nicolò Zaniolo andava ricostruito dopo due infortuni pesantissimi innestati sull’egocentrismo di uno nato predestinato, Nicola Zalewski è stato costruito dal nulla.
C’era, certo. Ma era un ragazzo della Primavera, un’ala, un trequarti, fisicamente compatto, tendenzialmente predisposto alla genialata negli ultimi 30 metri di campo. Mou (con Tiago Pinto) lo ha visto nella squadra di Alberto De Rossi, se lo è portato su come tanti altri. Anzi, più di tanti altri. Perché aveva intravisto il progetto: lui, gli altri no. E forse nemmeno Zalewski. La Roma da costruire mediando tra giovani e star (perché quello giallorosso non potrà mai essere un “instant team”) passa per Zalewski, l’intuizione più grande. Tanto da mettere in fila Viña ed El Shaarawy. Il ragazzino degli ultimi 30 metri di campo è diventato quello che ne ara 60, sterza di botto mandando gambe all’aria l’avversario del Bodo e restando lucido dopo quella cavalcata trova di destro il corridoio che Zaniolo gli suggerisce con il dito. Come se sapesse di poterglielo chiedere. Ed ecco l’altro passaggio cruciale dell’inedito Mourinho romano. Zaniolo.
Normalizzato a colpi di panchine, protetto “perché fa vendere”, caricato agendo sul suo egocentrismo che però è convogliato tutto dentro il suo immenso e talentuoso strapotere fisico con tanto senso del gol. E così anche lo Zaniolo post partita è perfetto, come forse non lo sarebbe stato un mese fa. E quando lo portano sul derby vissuto dalla panchina per ritrovare lo Zaniolo guascone che non c’è più lui risponde da 10: “Volevo giocare, certo, ma alla fine ha avuto ragione il mister”.
Costruzione e ricostruzione. Ecco la nuova Roma di Mourinho che prende forma aspettando due, tre, quattro innesti d’estate. La città giallorossa è sintonizzata con il suo condottiero, che la ha letteralmente rapita. Bisogna seguire questo nuovo Mourinho con curiosità, cercando di capire che i vecchi e i nuovi stereotipi non vanno più bene per leggerlo. Vince uno a zero lui ne fa 4 (non una volta sola, li faceva anche in Spagna e in Inghilterra), non lancia i giovani e lui lucida Zalewski (dopo averne lanciati tanti tra Liga e Premier). Senza ricordare ora i mugugni per il polacchino tutta fascia: ma come può? CI siamo tutti risposti da soli. Non solo può: ora levatelo… La balla più grossa? E’ venuto a Roma da bollito, a fine carriera.
Sottovalutare Mourinho è stato forse l’errore più grande, quello che gli ha consentito di costruire il nuovo Mou mentre in tanti cercavano il vecchio. Come dice lo Special una bugia ripetuta tante volte rischia di diventare una verità. Non con lui. Del vecchio Mou una cosa è rimasta: sa comunicare come pochi perché ha studiato e conosce certi linguaggi. Nuovo Mou e vecchio Mou. Roma adesso gongola.
Giorgio Alesse
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