Morto a 54 anni Mino Raiola, agente tra gli altri di Ibrahimovic, Pogba, Donnarumma, De Ligt e Balotelli. Il procuratore che ha cambiato il calciomercato
E’ morto a 54 anni Mino Raiola. Il noto procuratore italo-olandese, agente di tanti campioni da Ibrahimovic a De Ligt passando per Pogba e Donnarumma fino ai vari Haaland, De Vrij, Balotelli e molti altri. Lo scorso gennaio aveva subito un intervento e nelle ultime settimane si era aggravato. La redazione di Calciomercato.it si unisce al dolore di amici e familiari e vuole celebrarlo con un ricordo.
Squilla il telefono, magari anche a lungo. Dall’altro capo del filo una voce risponde: “Mino”. Tu sei lì, pronto ad un “ciao”, un “pronto”, un “sì”, magari un “hey” o un “hello”. Ma il re del mercato, per metterti in una posizione subordinata e darti la misura dell’idea elevata che ha di sé stesso, per darti udienza si chiama per nome. Il Marchese Del Grillo Alberto Sordi avrebbe trasformato la cosa in un “io so’ io e voi non siete un ca…”. Mino Raiola magari lo pensa, ma poi nella conversazione si scioglie, si dispone bene. Non è burbero, è aperto. Come la gente di mare. D’altra parte la sua vita è Harleem da quando è piccino, l’importante porto commerciale appena fuori Amsterdam, dove è arrivato con la famiglia muovendosi da Nocera Inferiore. Certo, devi andargli a genio perché la conversazione si apra. Quando attacchi e rifai i conti con gli appunti ti accorgi che quei 45 secondi – che se diventano cinque minuti ti sembrano come un pranzo insieme di due ore – non sono mai stati banali. Se vuoi fargli i conti in tasca pesando come mangia e come veste non è con Mino che devi parlare. Il calcio lo ha fatto ricco, ricchissimo, ha conosciuto i miliardi di lire e i milioni di euro: ma non chiedergli di abbinare i colori, di mettere una cravatta, o di di aggirarsi tra le portate di un buffet senza snocciolare olive con le mani e palleggiare le ossa mentre disquisisce di colpi da sogno tra Manchester, Barcellona e Psg. Una camicia hawayana, una ciabatta. Non sarebbe Mino. Arguto però, un senso dell’affare molto pratico, da mercante che non puoi provare a fregare senza rischiare di ritrovarti (per risposta) fregato. Ultima cosa: se non gli vai a genio il castello crolla in un attimo. O attacca senza nemmeno che tu capisca il finale. O ti attacca con ferocia (chiedere alle istituzioni del calcio, che non ha mai amato).
Il calcio è stata la sua vita e la porta di ingresso (unico luogo abbastanza comune della storia di Mino Raiola) è la ristorazione che porta nel suo locale i protagonisti che contano della pallone che rotola. Lo gioca a bassi livelli, smette, fa il dirigente, si accorda con la federcalciatori olandese per rappresentare i suoi calciatori all’estero. E la porta verso il suo Paese d’origine, l’Italia, la apre in due estati a fila tra il 1992 e il 1993, quando lui ha 26 anni e porta al Foggia e all’Inter, due olandesi che sono quasi suoi coetanei, il ventitreenne Bryan Roy e il ventiquattrenne Dennis Bergkamp. Quello che sta per diventare Mino Raiola non è ancora chiaro ai più. Ma lui, zitto zitto, si estende tra Brasile, Repubblica Ceca: dove può. E soprattutto all’Ajax non si muove foglia che Mino non voglia. O quasi. Certamente i 9 miliardi dell’affare Nedved dallo Sparta Praga alla Lazio cominceranno ad assegnargli una posizione più centrale nell’universo del calciomercato. Diventeranno 75, quei miliardi, cinque anni dopo, quando Pavel passerà da Roma a Torino, sponda Juventus.
Morto Raiola: da Ibra a Balotelli, quanti affari per Mino
Non è amato da chi naviga come lui il mare e le onde delle trattative, lo descrivono come uomo dai modi spicci. Fate voi, Mino muove il calciomercato come pochi. Cambia numeri di telefono almeno due volte all’anno: inizia a scegliere con chi parlare e con chi non voler prendere tempo. La domanda di rito per chi lo cerca è… “ma questo 0033 è ancora buono?”. Forse sì, forse no. Decide lui. E il portafoglio clienti si amplia dandogli forza. E’ riuscito a farsi scegliere da un ragazzaccio come lui, Zlatan Ibrahimovic: insieme cambieranno sei maglie che pesano mettendoci dentro anche una esperienza con i Los Angeles Galaxy nella Mls statunitense. Prima Juventus, Inter, il passaggio al Barcellona che a Raiola riconobbe quasi un vitalizio (1,2 milioni di euro all’anno dal 2009 al 2014 per un affare da 25 milioni) . Quindi il Psg il Milan, lo United. E di nuovo il Milan dopo gli States. Quella dei Red Devils diventa la sua seconda casa dopo l’Ajax: lì piazzerà anche Mkhitaryan e Paul Pogba, il super colpo da 105 milioni di euro di cui 27 a lui per le commissioni e il resto nelle casse della Juventus, che può essere considerata la sua “terza casa” in fatto di affari.
Lo chiamano l’uomo dei colpi mediatici alla Balotelli, quello che forse ha funzionato meno ma… state tranquilli, ha spostato anche lui: e più di una volta: City, Milan, Liverpool, Nizza, Marsiglia, un centinaio di miopi di cartellino complessivamente li ha movimentati anche con l’intemperante SuperMario. In mezzo van Bommel, Robinho, Emanuelson, piccoli sconosciuti come Felipe Mattioni, il difensore brasiliano passato un anno al Milan e poi all’Everton prima di evaporare nei campionati brasiliani. Mino ormai più che un’azienda è un impero, si appassiona ai giovani (Luca Pellegrini e Riccardo Calafiori della Roma per citarne due), diversifica (Bonaventura, Abate, Pinamonti, Justin Kluivert). E ancora Kostas Manolas, Erling Haaland, Mathias De Ligt spostato dall’Ajax alla Juve (nemmeno a dirlo) per 75 milioni di euro. E Gigio Donnarumma: voleva portarlo via al Milan e ha realizzato il piano nel modo più eclatante, a parametro zero. Forse all’amico Galliani non l’avrebbe mai fatta così. “Non cercare i soldi per i soldi, non li farai mai. Diventa il più forte di tutti e i soldi verranno da soli”. E’ passata alla storia come la frase detta a Ibra, assistito e amico: una sorta di mantra per la vita. Mino continuerà a sentirsi il più forte di tutti. Ovunque sia.