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Roma e Mourinho, la finale europea che dà un segnale forte al calcio italiano

La Roma di Mourinho vola in finale di Conference League. Segnalo a tutto il calcio italiano

Famiglia. Una parola che da José Mourinho – il tecnico cresciuto nell’opulenza delle star che gli consegnavano per allenarle e vincere – non ti aspetti. Non l’ha mai pronunciata nelle vittoria con l’Inter, con il Real Madrid, con il Chelsea, con il Manchester United. Nemmeno con il Porto, agli inizi: e il Porto era casa. L’ha ripetuta all’infinito nel post gara di RomaLeicester. Lui, sfinito. Perché lo Special ieri, dopo quei novanta minuti tirati, sofferti, senza mai rischiare – questo va sottolineato – ma dentro il pathos di un traguardo che accende il cammino della Roma, è parso travolto sul viso e nella voce.

Roma e Mourinho, la finale europea che dà un segnale forte al calcio italiano
Josè Mourinho © LaPresse

La nuova Roma e il nuovo Mou camminano a braccetto e ogni volta ognuno sembra scoprire qualcosa di più dell’altro. Ai denigratori di professione restano i novanta minuti di Tirana per poter dire che in fondo la Coppa europea che conta meno la devi vincere e basta. Invece, con onestà, bisogna vedere la vicenda dall’unico lato che conta, oggettivo: mentre il calcio italiano stecca la seconda partecipazione di fila a un mondiale e frana in Champions League, con l’Atalanta che in Europa League si è difesa fino ai quarti per poi mollare anche lei, una sola squadra del nostro Paese malandato scrive il proprio nome su una finale internazionale. È la Roma. La stessa che mentre l’eliminazione da Qatar 2022 per mano della Macedonia ci fa dire che l’Italia ha dimenticato i giovani, scopre Zalewski, Felix, Bove. E poi Volpato, Missori, Keramitsis.

Roma, il messaggio per tutto il calcio italiano

Roma e Mourinho, la finale europea che dà un segnale forte al calcio italiano
Curva Roma © LaPresse

E se dall’altra parte ci sarà il Feyenoord a Tirana, il prossimo 25 maggio, vorrà dire che la squadra di Slot sarà stata migliore del Marsiglia, del Tottenham: di chi c’era e ora non c’è più. Perché è forte chi arriva in fondo, nello sport. E il calcio non fa eccezione. La Roma offre al movimento calcistico italiano una scialuppa di salvataggio, uno moto d’orgoglio, una scintilla da cui ripartire. E lo fa con questo signore che – non scordiamolo – è stato dato per bollito come un altro signore, che proverà a vincere la sua quarta Champions da allenatore. Stavolta però è successo qualcosa di straordinario: che Roma non è cascata nel tranello, nella supponenza lasciva che aveva portato a denigrare Luis Enrique con gli occhiali da sole e l’ipad (“ma questo che ha vinto?”) o a canzonare Dzeko al primo anno di gol mangiati ritraendolo sui social come un non vedente con cane pastore al seguito. Stavolta Roma – la Roma giallorossa – si è stretta a José Mourinho, lo ha scelto come il suo condottiero, lo ha messo davanti a sé per farsi guidare. Ed è arrivato il mare d’amore giallorosso che ha sfidato e vinto le restrizioni Covid, collezionando sold out ad ogni percentuale di capienza ridotta che cambiata, fino ad arrivare ai 65.000 di ieri.

La vittoria di famiglia è la vittoria di una squadra che non molla e che si riconosce in uno stato dell’anima. È la vittoria di una proprietà che ha costruito nel silenzio, che ha avuto l’ambizione di pensare e prendere l’uomo in panchina, così lontano dai pensieri della gente, perché ci si sentiva inadeguati per uno così. L’ambiente, non i Friedkin che questo senso di inadeguatezza lo hanno combattuto dal primo giorno ritenendo impossibile che se ti chiama Roma – la metà del mondo – non debba pensare in grande anche con il calcio. È la vittoria di Tiago Pinto, un dirigente meno silenzioso della sua proprietà, ma certo non appariscente: ha lavorato a stretto contatto con Mourinho, creando una straordinaria empatia mentre la solita città che tutto sa raccontava altro, millantava una sorta di mal sopportazione mal celata da parte dell’allenatore verso il general manager. Tiago Pinto ha fatto il mercato, scegliendo o lavorando su scelte condivise, ha lavorato a fondo su tanto altro che finisce con il tratteggiare la filosofia di un club ambizioso.

Roma e Mourinho, la finale europea che dà un segnale forte al calcio italiano
Roma © LaPresse

Tirana sarà la verifica finale. Chiaro che vincere diventa un obbligo morale e che la Roma ha anche la possibilità per farlo. Ma non sarà scontato, il Feyenoord non farà la comparsa in finale, se l’è sudata quanto i giallorossi. Una cosa la Roma già sa: che comunque vada, stavolta non verrà smantellato il lavoro di questa stagione, non verrà denigrato, non diventerà zero da cento che avrebbe potuto essere. I garanti sono i Friedkin, Mou e una struttura societaria e tecnica che ora sa vivere di orgoglio. Le tabelle di confronto dei fonsechiani abbandonati sono riposte sommessamente nei cassetti. Questa Roma vuole segnare un percorso nuovo. Che è già cominciato.

Giorgio Alesse

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