Non si spengono i festeggiamenti nella Capitale per la vittoria della Conference League della Roma di José Mourinho
La Roma che nasce a Tirana è negli occhi di cerbiatto di Lorenzo Pellegrini, nella voce del capitano che sa essere pacata e ferma al tempo stesso: nonostante lui sia il primo capitano romanista della storia a trionfare in Europa.
Una roba che se fosse successa ad altri capitani – anche romanisti – sarebbe stata celebrata da giornali e tv con paginate e ore di servizi. Ma Pellegrini non richiama tutto questo: a vederlo così, ispira e trasmette normalità e la sensazione che lui per primo possa accontentarsi di poco per sé, anche a livello celebrativo. In definitiva solo i tatuaggi – una sua passione – sembrano inclinare il bravo ragazzo, l’amico migliore, il secchione a scuola, sul falsopiano del calciatore eroe, guappo, guascone dei giorni nostri. Ma – lasciateci sorridere gli riesce male: non c’è sfoggio barbaro, non ci sono lance, guerrieri in quelle gittate di inchiostro sulla pelle, ha persino un 37 sulle dita dei piedi per celebrare la data di nascita della nonna. I social trasudano famiglia, Veronica, Camilla e Thomas, i cani. Il buono che in fondo non è leader… Favole di chi cerca stereotipi in cui riconoscere i propri parametri.
Sembra che all’immagine del ragazzo normale Pellegrini non riesca a rinunciare. Forse perché non è un’immagine: è l’Essenza, è la Verità. Di un leader silenzioso. Senza filtri, senza affabulazioni. Come non hanno filtri le parole: mai urlate, ma non per questo al ribasso. “Una vittoria non mi basta”, il concetto pronunciato alla vigilia per dire che la Roma non si sarebbe dovuta accontentare di un trofeo (rischio tangibile nella disabitudine a vincere). E perfezionato nella notte di Tirana con la coppa tra le mani. “Una grande squadra festeggia, perché è giusto così, poi si ferma, si rimette a testa bassa a lavorare e riparte per traguardi ancora più importanti”. Eccole le parole semplici ma alte. La nuova Roma nata a Tirana comincia da qui. Da questa ambizione che è di Mourinho – primo garante – di Smalling e Rui Patricio – gente che ha già vinto – e del capitano giallorosso.
I Friedkin, Mourinho, Zaniolo e i programmi futuri
Ora bisogna stare attenti a non mistificare: i Friedkin non sono affabulatori come non lo è il loro capitano. Se ci si aspetta un mercato scintillante da 200 milioni si rimarrà delusi. E non significherà pensare senza ambizione: il Milan campione d’Italia potrebbe esserne una prova (non vinci lo scudetto solo se hai il monte ingaggi più alto d’Italia), il Psg delle stelle plurimilionarie la controprova vista dall’alto (spendere non è vincere). E chi recita la litania “se prendi Mou devi spendere” risponde al vecchio Mou, non quello nuovo sceso su Roma: che non vuol dire che si accontenti, questo mai. Aspettiamoci due, tre colpi, magari un sacrificio ragionato (Zaniolo? potrebbe essere), ma non la logica stringente delle plusvalenze di pallottiana memoria. Un difensore di livello, un grande centrocampista (più uno a supporto), una punta di supporto a Tammy Abraham.
Numeri che potrebbero aggiustarsi verso l’alto in base a qualche uscita in più: la prossima Roma dovrebbe non avere Kumbulla, Diawara e Darboe, c’è un punto interrogativo su Sergio Oliveira (che intorno ai 10 verrà riscattato a 13 no). Vediamo cosa accadrà con uno tra Veretout e Cristante. E anche Carles Perez, Shomurodov e forse El Shaarawy sono in uscita. Zaniolo sarà un discorso a parte, come Mkhitaryan dovesse decidere di andare via. Se avverrà tutto questo è chiaro che gli ingresso potrebbero diventare cinque-sei e non tre: perché Spinazzola è recuperato, perché Bove sarà lo Zalewski del 2022-2023. Sarà comunque un mercato ragionato, quello che serve nel calcio di oggi, post Covid. E sulla ambizione dei Friedkin non si può eccepire o dubitare.
Giorgio Alesse