Zaniolo e la storia di un addio che fa discutere, per modi e tempistiche: si conclude una storia con la Roma piuttosto complicata
I suoi detrattori lo hanno accusato di non essere sempre in grado di fare le scelte migliori in campo. Certo è che l’ultimo Zaniolo a Roma non ha brillato per le scelte di tempo neanche al di là del rettangolo verde. A cominciare dal chiamarsi fuori dopo soli tre giorni dalla difesa d’ufficio di José Mourinho che lo aveva protetto con veemenza per qualche fischio incassato dopo il match di Coppa Italia contro il Genoa. Per finire con il post sorridente, a torso nudo e in mutande nelle ore in cui si discuteva il suo trasferimento in un club (il Galatasaray) di un Paese (la Turchia) flagellata da un terremoto che non ha precedenti nell’era moderna in termini di violenza, mortalità e devastazione. Non proprio l’immagine della depressione, insomma – ha commentato sarcasticamente qualcuno – che per chi ce l’ha è una cosa molto seria. E forse anche il nuovo post serale con le immagini del dramma, la bandiera turca e il cuore possono essere parsi (sempre ai detrattori più severi) una tardiva presa di coscienza della prima gaffe.
Tiago Pinto è lì che lima le ultime cifre di un accordo a questo punto diventato inevitabile quanto era ineluttabile la fine della storia di Zaniolo con la Roma. Ma il club giallorosso non si è piegato a logiche che ne mortificassero la dignità, un sentimento a cui i Friedkin devono tenere parecchio, tanto da far arrivare chiaramente il messaggio all’interlocutore capriccioso. Gli hanno fatto riferire qualcosa che suonava come un “guarda Nico che non finisce come al solito nelle storie di calcio simili a questa: Nico, ‘sti due americani non ti vogliono più vedere a Trigoria”. Di qui la telefonata trafelata al Bournemouth il 31 gennaio mattina, quasi sul gong del mercato, quella disponibilità che solo il proprietario del club inglese ha congelato, ben oltre quella che a tutti gli effetti era stata una riapertura dei suoi dirigenti: «ragazzi, avete fatto bene a riaprire il canale, ma io non investo su un calciatore che due giorni fa non si è nemmeno presentato a parlare con noi. Perché lo fa oggi? Non sa più dove andare? Dite alla Roma che non si può più fare». Anche queste non sono le parole ufficiali di una conversazione evidentemente privata. Ma il tono non sarà stato molto diverso.
Qualunque sarà la cifra (20, 22, 23 milioni), la Roma vende Zaniolo al prezzo suo. Più o meno. Sarebbe stato più elevato a mercato aperto, i milioni del Bournemouth erano oggettivamente di più. Un doppio danno quello che il no di Zaniolo ha causato alla Roma, per quello che interesserà al ragazzo e al suo entourage (anche giustamente dal loro punto di vista). La Roma aveva un sostituto pronto e il 31 lo avrebbe preso. Pare non fosse Ziyech, ma lo aveva (magari lo avrà, da giugno). Cedere il numero 22 oggi significa poterlo far uscire senza rimpiazzarlo (a meno di operazioni tra gli svincolati). Poteva andare diversamente? Sicuramente sì, probabilmente non per responsabilità della Roma: è Zaniolo che ha aperto il fronte in modo deflagrante, senza avere una squadra in mano. E forse, con due infortuni seri alle spalle che ne certificano una sfortuna maledetta, i romanisti che comunque lo sostenevano (fino ai pochi fischi con il Genoa era innegabilmente così), Roma che non è esattamente una piazza di sofferenza e un allenatore che lo ha solo protetto prima di sentirsi mollato in corsa, un signore che ha vinto anche un po’ di trofei e stargli accanto non deve essere il peggio che possa capitarti… insomma, anche qui la scelta di tempo dell’uscita avrebbe potuto essere procrastinata di quattro mesi senza traumi. Dicevano del prezzo: oggi Zaniolo, con la sua storia alle spalle, non può valere più di 20-30 milioni. Nessuno ne ha offerti mai di più. Non ora, non l’estate scorsa (per dirla tutta i 40 del Tottenham con riscatto obbligato non trovano riscontri, oltre a versioni di parte).
Roma, quanti rimpianti per Zaniolo: ma il club è andato per la sua strada
Zaniolo alla Roma lascia uno score di 128 partite, 8.330 minuti, 28 gol, 14 assist e 40 cartellini gialli che i romanisti avrebbero volentieri scambiato con i gol.
Certo, tra quei 28 gol c’è quello di Tirana, pesantissimo, bellissimo, una perla nel cuore dei tifosi perché certifica un trofeo internazionale: ma dire che quella Coppa la Roma la alza solo per Zaniolo è una scorrettezza che nessuno si sentirebbe di avallare. La frase di cui nel calcio si abusa “hanno sbagliato tutti” sembra un cliché, sullo stile delle ovvietà tipo “ora testa subito alla prossima partita”. Di certo quei due infortuni hanno messo la vicenda dentro tornanti in salita difficili da tracciare senza consumare i freni e fondere il motore. Ma per la Roma Zaniolo era lì e giocava, la squadra era con lui, l’allenatore era con lui, i tifosi erano con lui. Facciata? Può essere, tanto quanto era facciata il suo restare e lo era stato in estate, per mancanza di acquirenti. Questo si chiama gioco della parti. Piuttosto il club giallorosso dà un segnale che può resettare lo scenario e mandare un messaggio ad un mondo che ha bisogno di rivedere il canovaccio per cambiare e uscire da una crisi senza precedenti (di soldi e talvolta valori): a Trigoria si è respirata compattezza, quella che a volte si dice nn ci sia. Dalla proprietà, al gm, al tecnico, tutti hanno capito che era finita. Zaniolo probabilmente è stato l’ultimo a rendersene conto.
Pietro Torquati