La rivoluzione del Napoli di Spalletti parte da un presupposto: dall’aggressività difensiva che ha in Kim il suo perno principale
Spezzare la linea. Sembra quasi geometria, in realtà è uno dei segreti, forse il principale dello scudetto del Napoli. Il paradigma della modernità. Il desiderio di valorizzare le caratteristiche. Lo studio che diventa arte in campo.
Luciano Spalletti è arrivato a definire Kim Minjae il miglior centrale al mondo. Le classifiche, a questi livelli, sono complesse e mutevoli: perché basta un diverso periodo di forma a ribaltarle. Di certo, Kim è uno dei centrali più forti che ci siano in circolazione. Ed è anche il segreto della modernità, della qualità e dell’intensità della manovra del Napoli che vince lo scudetto.
Fin dal ritiro, in particolare nella seconda fase, quella in Abruzzo, Spalletti ha fatto interiorizzare dei mantra al centrale coreano. Componi la linea, spezza la linea. Un elastico continuo, un costante attacco alto al portatore. A cosa serve tutto questo: a cancellare la possibilità di imbastire l’azione offensiva avversaria, a recuperare palla ancora più alto con un interditore inatteso della manovra. Il centrale difensivo che non ti aspetti che ti venga a prendere fin dentro la tua metà campo avversaria.
Questo costante elastico di Kim, questa fionda sugli avversari (mentre l’altro centrale tiene a bada la prima punta) è stata un’arma evolutiva. Quella che nemmeno negli anni di Koulibaly è stata così applicata. Non perché il senegalese fosse da meno: ma perché era minore l’aggressività di squadra portata agli avversari anche nei tempi di Sarri.
In quelle stagioni prevaleva l’organizzazione della linea: con Spalletti, invece, si evolve il concetto di pressing e gegenpressing della scuola di Magonza che ha trovato in Klopp il suo zenith. Perché non c’è solo il pressing alto delle due linee di attacco e centrocampo che vanno a spezzare le prime linee di passaggio avversaria, quella che viene definita la costruzione dal basso.
Con Kim che, de facto, si aggiunge a centrocampisti ed attaccanti si crea una pressione anche a 9 uomini con l’innalzamento dei terzini che ha condotto il Napoli ad avere un pressing feroce che spesso ha disorientato le squadre che non hanno trovato sbocchi.
L’altra metà del cielo è il rischio: quello che si corre a lasciare varchi, ad aprire corridoi. L’esempio è la gara di Champions all’andata a Milano: Mario Rui si aggiunge alla pressione di Zielinski su Brahim Diaz, la linea è altissima e gli spazi sono profondi. Gol del Milan che orienta fortemente la qualificazione. Un errore? Forse in qualche movimento, ma ideologicamente è stato tutto come doveva essere. Perché la grandezza, il segreto più bello di questo Napoli dello scudetto è proprio nell’aggressività che ha cancellato i retaggi del passato. Roma, Inter e soprattutto la Juve hanno tanto da guardare in termini di modernità
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