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Allarme rosso Dybala, corsa contro il tempo. Mourinho: “Spero di averlo in panchina a Budapest”

In casa Roma cresce l’attesa per la finale di Europa League con il Siviglia: ne ha parlato l’allenatore giallorosso José Mourinho in conferenza stampa

Mancano sei giorni alla sfida tra Roma e Siviglia, finalissima di Europa League in programma a Budapest il prossimo 31 maggio. Quest’oggi la conferenza stampa di José Mourinho.

Mourinho – calciomercato.it

Archiviato il pareggio con la Salernitana, la Roma di José Mourinho si appresta ad affrontare la trasferta di Firenze prima della finale di Europa League contro il Siviglia in programma il prossimo 31 maggio a Budapest. Il tecnico giallorosso è intervenuto in conferenza stampa in occasione del Media Day a Trigoria, presentando i prossimi ed ultimi impegni della sua squadra.

Si sente artefice di quanto ha fatto la Roma in questi due anni? “No. Loro ringraziano me, io ringrazio loro. Siamo sempre stati bene nel bene e nel male. Magari Zalewski è un po’ più emotivo, perché due anni fa giocava con la Primavera e poi gioca una finale, il Mondiale con la Polonia e ora un’altra finale. Per lui è una crescita importante”.

L’aspetto più complicato e quello più facile per la finale? “È la partita di sabato. Devo lasciare fuori giocatori che hanno un problema, chi può rischiare. Andare solo con una squadra di bambini è un rischio esagerato e non è neanche positivo mettere i bambini in questa situazione. La Fiorentina è una squadra che 25 giocatori dello stesso livello e saranno freschi e motivati. La soluzione ideale sarebbe non giocare sabato e preparare già da oggi la finale. La cosa più facile è che vogliamo tanto giocare questa finale. E quando domenica mattina arriveremo qui è più facile avere gente concentrata e felice”.

Vincere questo trofeo avrà un peso sul suo futuro a Roma? “Il mio unico focus è la finale. Un pochino solo la preparazione alla Fiorentina. Ma non sono preoccupato del futuro né con altro. Tutto è secondario quando giochi una finale, non c’è spazio per pessimismo né ottimismo. Il motivo è solo pensare alla finale. Vogliamo tanto giocarla. Abbiamo fatto tanto per stare qui e vogliamo giocarla. Sarà facilissimo prepararla, non c’è neanche la cosa di dire dobbiamo vincerla per la Champions. Non ne voglio sapere di niente, né di Champions né di classifica. Vogliamo giocare la finale, siamo andati a Ludogorets tornando alle 7 del mattino, a Helsinki che faceva un freddo da morire, a Siviglia che se perdevamo eravamo fuori. Abboamo perso giocatori e giocatori, un ragazzino come Bove ha giocato due semifinali da titolare, chi ha giocato fuori posizione, poi abbiamo trovato il Bayer, un’altra che viene dalla Champions come il Salisburgo. Vogliamo che i romanisti siano come noi, felici di stare lì. Spero e sono fiducioso che romanisti e sevillisti possano fare una bella giornata a Budapest. Quando Taylor fischierà vogliamo solo giocare, poi si vedrà”.

Riesce a separare la parte sportiva da quella umana quando va via da un club? “Spero che i tifosi del Tottenham non la prendano nel modo sbagliato. L’unico club nella mia carriera con cui non ho ancora un legame particolare è proprio il Totteham. Forse perché lo stadio era vuoto e c’era il Covid, forse perché sono andato via prima di una finale. Con tutti glo altri club c’è un legame forte, quando vado a Londra o Milano, a Madrid, sento questo legame. Perché ho dato tutto. Non è una questione di vincere o no, perché il confine è sottile. È una questione di dare tutto. A Roma sentono che ho indossato questa maglia e combattuto per loro dall’inizio. Ho amato e amo ogni club”.

A vent’anni dalla prima finale europea come è cambiato Mourinho? “Sono un allenatore e una persona migliore. Ma con lo stesso Dna, che è di motivazione, felicità, desiderio di vivere certi momenti e voglio trasferirlo ai giocatori. Non voglio attenzione e pressione, voglio che siano felici di giocare questa partita. Il nostro lavoro non è come quello del calciatore, puoi mimgliorare con l’esperienza. Loro invece devono vedersela con il loro fisico. Da allenatore, il tuo cervello diventa sempre più brillante, accumulando conoscenze. Devi fermarti quando perdi motivazioni e non è il mio caso. Ce l’ho ogni giorno”.

Mourinho (LaPresse) – calciomercato.it

È indispensabile avere un rapporto così aggressivo con gli arbitri da parte dei suoi collaboratori? Non è diseducativo? Si legge nei comunicati di blasfemie e bestemmie… “Preferisco non rispondere”. Poi il traduttore ripete la domanda in inglese, ma Mourinho lo interrompe: “Non c’è bisogno di perdere tempo”.

Dybala come sta? Non l’abbiamo visto neanche oggi in campo… “Non sta nascosto, purtroppo non è così. Penso che non potrà giocare a Budapest. Ma onestamente ho la speranza che possa andare almeno in panchina. Pensando a lui possiamo dire che è l’ultima partita della stagione. Può aiutare, può stare in panchina, col Feyenoord ha fatto il gol dei supplementari. Se può stare in panchina e darmi 15-20 minuti sarei già contento. Per questo non dico che Paulo non ci sarà mercoledì ma la verità è quello che avete visto. C’era un gruppo che lavorava, poi nell’altro campo c’erano Spinazzola e Karsdorp e Paulo non c’era. Era nel dipartimento medico. Cosa è successo? Ci abbiamo provato. Se pensi a una finale pensi anche alla preparazione. Ho sempre pensato che contro la Salernitana potesse giocare un tempo, o magari anche a Bologna qualche minuto. Con il Leverkusen abbiamo pensato di non farlo giocare ma non ha migliorato. Si sta cercando di fare tutto, ma niente. La verità è che è fuori, sabato non ci sarà. Pellegrini neanche ci sarà sabato ma è sicuro che è recuperato per la finale. Sarebbe stato importante giocare qualche minuto per lui a Firenze, toccare il pallone. Però non può”.

In caso di vittoria mercoledì sarebbe la sua più grande impresa? “Dobbiamo ancora giocare. Non mi piace parlare prima, ma giocare. Tanto. Peccato non si possano giocare finali ogni settimana. Ma non sto pensando a me stesso. Sto pensando ai giocatori e ai tifosi. Mi piacerebbe tanto aiutare i giocatori a prendere questa gioia infinita e così i tifosi. Parlare poco e ripetere qualcosa di cui non mi stanco: vogliamo giocare”.

Paolo Siotto

Classe ’93 e giornalista pubblicista dal 2015. Dal calcio alla cronaca, sempre seguendo il filo diretto dell’informazione.

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