Jose Mourinho è un fiume in piena: dall’attaccante alla verità su Budapest, dal rapporto con Tiago Pinto al futuro e l’offerta araba
Un vero e proprio fiume in piena. José Mourinho è senza dubbio il personaggio più mediatico e discusso nel mondo del calcio moderno. Oltre ai risultati leggendari sul campo lo Special One ha un bagaglio di comunicazione, di gestualità, di silenzi e frasi o parole pesanti come macigni. L’allenatore della Roma, al terzo anno sulla panchina giallorossa, nonostante le offerte faraoniche dall’Arabia Saudita e qualche dubbio da chiarire con il club, alla fine è rimasto, con un contratto che scade nel 2024. E un attaccante che deve ancora arrivare.
Di tutto questo e dei rapporti con Tiago Pinto, lo Special One ha parlato in una lunghissima intervista a ‘Il Corriere dello Sport’ e il suo direttore Ivan Zazzaroni. Partendo dalle ‘origini’ dell’avventura capitolina: “Fair Play Finanziario e risorse ridotte sul mercato? Quando ho firmato con la Roma sapevo perfettamente a cosa andavo incontro. Se adesso mi domandi se sono pentito della scelta, rispondo di no. Assolutamente no. Anche se ho vissuto momenti di frustrazione”. Magari anche ora, con la questione attaccante, che ha portato magari a qualche segnale alla società come l’abbraccio al centravanti immaginario o i piedi incrociati sul tavolo: “A volte leggo che Mourinho sta provocando la società. I piedi incrociati sul tavolo li metto venti volte al giorno. La foto con l’attaccante immaginario è stata fatta per ridere. Relativamente all’attaccante immaginario, posso dirti che anche se la settimana prossima arrivasse Mbappé sarebbe comunque in ritardo. Dopo 28 giorni di lavoro, 31 allenamenti e 6 partite, in tutto 37 sedute, più riunioni di analisi tattica e altro, non avere un attaccante è un problema”.
E a proposito del rapporto con Pinto: “Mi riesce impossibile dire che sono contento. Però sostenere che sono in guerra aperta con la società, col direttore, che non sono felice, è sbagliatissimo. Le persone possono avere una percezione diversa, ma io ho sempre avuto un eccellente rapporto con le società in cui ho lavorato”.
Tema principale di Mourinho a Roma è ovviamente quello arbitrale: “In Italia mi sono sentito aggredito, hanno violato la mia libertà di uomo. Qui non mi sento più a mio agio. Ho paura di ricevere altre squalifiche, ho paura di dover tornare a sentire tutto quello che ho ascoltato o letto in questi due anni. Se mi dici José, parliamo di Budapest, ci sto. Però se mi chiedi di parlare di Italia, di sconfitte politiche, di opinioni espresse dalla gente e anche di offese ricevute, la cosa mi disturba. Ho detto paura, forse paura è eccessivo, fastidio è meglio”. E allora Mourinho parla proprio della notte di Budapest: “Lo sfogo con Taylor? Taylor non era lì, non c’era. Era rimasto dentro lo stadio e il giorno dopo l’hanno trovato all’aeroporto. A chi era rivolto il ‘fucking disgrace’? C’erano gli altri, non Taylor”.
“Finisce la partita, in quei minuti ho sentito che dovevo essere il padre di famiglia, per questo ho detto al gruppo “resto con voi anche l’anno prossimo”. La reazione dei ragazzi è stata splendida, in quel momento è finito tutto. ‘Fucking disgrace’ è molto simile all’italiano ‘ca**o!’, un’esclamazione, uno sfogo. Non ho insultato nessuno. Se Taylor o qualcuno al posto suo, dopo la partita fosse venuto da noi, nello spogliatoio del pianto, e avesse detto “ho sbagliato, abbiamo sbagliato, mi dispiace”, non solo sarebbe finita li, ma lui avrebbe avuto il nostro rispetto. Poi dopo c’è stato l’episodio dell’aeroporto. Se mi chiedi quale sia stata in due anni e due mesi di Roma la cosa che mi ha fatto sentire più fragile, la cosa più triste, è stata non essere appoggiato dalla società in una situazione del genere”.
Mourinho ha ormai un solo anno di contratto: “Non cambia niente. Per qualche giorno ho pensato basta bambini, perché dovrei costruire dei bambini se il prossimo anno non sarò più qui? Però è subito subentrato il José bravo, il José buono, il José professionista e sorridente. Pinto? Il nostro è un rapporto di rispetto, anche formale. Io non gli do del tu, anche se lui potrebbe essere mio figlio, per me è il direttore. Non siamo sempre d’accordo, questo no. Attaccante? Per me c’è un nome, ce n’è uno, perché io di solito sono molto obiettivo e pragmatico, ce n’è uno, ma non è possibile prenderlo, così mi è stato detto. Morata? Ti dico solo che non è Mbappé”.
E poi su Dybala: “Quando è arrivato il primo di agosto e la clausola non è stata più esercitabile, ho dormito meglio. Quando siamo costretti a rinunciarci sono guai seri”. Lo Special One ammette anche le offerte dall’Arabia Saudita: “Al-Hilal e Al-Ahli. Sì, ci ho pensato. Prima di andare all’incontro ho informato la proprietà chiarendo che non avevo intenzione di accettare. A casa ho detto esattamente la stessa cosa. Per un lato mi sentivo prigioniero della parola data ai giocatori a Budapest e ai tifosi dopo lo Spezia, mimando la permanenza. Ma se mi chiedi se non ho accettato soltanto per questo motivo, rispondo di no, non solo per questo. Non è un no definitivo, non lo è. In passato rifiutai la proposta più incredibile che un allenatore abbia mai ricevuto quando la Cina mi offrì la panchina della Nazionale e di un club nel quale avrebbero giocato tutti i nazionali. Una proposta economica indecente, fuori dal mondo e da tutti i parametri”.
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