Lunga intervista di Paulo Dybala su AS: l’argentino racconta il suo momento nel giorno in cui ritorna una Serie A di cui vuole essere protagonista.
Paulo Dybala ha le idee chiarissime: è rimasto a Roma per vincere. L’argentino è stato intervistato dal quotidiano spagnolo AS nel giorno in cui ritorna la Serie A, che l’attaccante giallorosso definisce in crescita e più incerta che mai. La Joya analizza il suo momento, racconta le sue passioni extracalcistiche e torna anche sull’inatteso addio alla Juventus.
Paulo, inizia una nuova stagione.
“Sono molto felice. Erano anni che non vivevo un precampionato dall’inizio. Sarà positivo per me”.
Stiamo vivendo l’estate dell’Arabia Saudita.
“Il calcio è uno sport globale, viene seguito in tutto il mondo e loro hanno lo stesso diritto che abbiamo noi di vedere i grandi nomi da vicino. Poi sta a ciascuno prendere una decisione. A livello agonistico è ancora molto presto, hanno iniziato a prendere grandi giocatori ora, come accadde con la MLS all’inizio”.
Anche tu hai ricevuto proposte e hai deciso di restare a Roma.
“Perché mi trovo bene qui. Mi hanno trattato in un modo unico. Durante le vacanze ho continuato a parlare con Mou ed entrambi volevamo dare qualcosa in più. Siamo arrivati vicini a raggiungere un obiettivo importante e ci siamo lasciati con un sapore agrodolce. Mi sono sentito molto a mio agio sotto tutti i punti di vista. Inoltre, a fine stagione abbiamo una competizione molto importante con la Nazionale, fare bene qui mi aiuterà ad essere presente per vincere il trofeo che mi manca con l’Argentina”.
Vedi una Serie A in crescita?
“L’anno scorso c’era grande competitività, e sarà lo stesso. È difficile scegliere la principale candidata allo scudetto, molte squadre si sono rafforzate. Il calcio italiano ha fatto molto bene in tutte le competizioni: l’Inter è stata molto vicina alla Champions League, quando tutti pensavano che il City le avrebbe segnato molti gol in finale. Purtroppo noi abbiamo perso ai rigori in Europa League e anche la Fiorentina è stata a un passo dal vincere la Conference. Speriamo che continui così, il calcio italiano se lo merita”.
Che ricordi hai della finale con il Siviglia?
“È stato molto triste. Sono arrivato alla finale in extremis a causa di una botta, sono riuscito ad esserci, a dare una mano alla squadra, e purtroppo non è bastato. Penso che la meritassimo, ma anche il Siviglia ha vissuto un percorso molto difficile per giungere in finale. I rigori hanno decretato la loro vittoria e bisogna far loro i complimenti. Per noi è stato un grande dolore”.
In Supercoppa, gli andalusi hanno fatto soffrire il City.
“L’ho vista, hanno avuto la possibilità di vincere. C’è stato un momento in cui sembrava che ogni contropiede potesse essere un gol e l’ultimo rigore Bono l’ha quasi parato. Il calcio è così”.
Mou ha detto che sei oro, e un “ragazzo d’altri tempi”.
“Sentir dire queste parole da un allenatore che ha lavorato con grandissimi campioni è un piacere enorme. Dico sempre che è il gruppo che mi fa stare bene e mi permette di dare il meglio. Sono grato a lui, al suo staff e ai miei compagni di squadra”.
Hai concluso la tua prima stagione qui con 18 gol e otto assist. A volte sembra che la Roma giri intorno alle tue idee.
“Ho molta fiducia in me stesso, nel contributo che posso dare. Se i compagni di squadra si affidano a me, è una bellissima responsabilità. A volte sembra che non abbiamo un gioco molto appariscente, ma è sempre molto efficace e questo fa risaltare i risultati individuali dei giocatori”.
Che Roma vedremo quest’anno?
Cercheremo di migliorare in tutte le competizioni. Vogliamo dare un titolo alla nostra gente, che se lo merita. Con i rinforzi che sono arrivati e quelli che potrebbero arrivare, abbiamo una rosa molto buona. Cercheremo di essere più aggressivi, più profondi, con un gioco che ci dia più opportunità.
Hai parlato di rinforzi, e in queste settimane ci sono stati diversi rumors sul tuo amico Morata…
E io lo chiamavo ogni volta (ride). Siamo molto amici, è quasi uno di famiglia, lo conosco da tanto tempo. Ovviamente non è un’opzione praticabile, ma mi sarebbe piaciuto tanto averlo qui a Roma con noi. Ci siamo conosciuti al primo anno di Juve, fin dall’inizio c’è stata una grande amicizia, che è cresciuta negli anni. Con la nascita di Bella, la sua ultima figlia, ci hanno fatto una sorpresa dicendo che la mia compagna ed io ne saremmo stati i padrini. È stato bellissimo, eravamo come impazziti e ogni volta che possiamo andiamo a trovarli, anche se ora vogliamo vedere più la bambina che i suoi genitori (ride).
Un tuo amico però è arrivato: Paredes.
Quando ho saputo che poteva venire l’ho chiamato ogni giorno, chiedendogli notizie e se potevo aiutarlo in qualche modo. Ero molto contento, so che la città e il club gli piacciono molto. La qualità che ha ci aiuterà.
Cosa hai imparato della Roma vivendo la società dall’interno?
La passione e il senso di appartenenza che hanno è molto simile a quello che si vive in Argentina. In Europa, per noi che veniamo da lì, tutto sembra più tranquillo, ma qui è diverso. La gente te lo fa sentire fin dal primo giorno, molti mettono il club al primo posto della loro vita, anche prima delle loro famiglie. Lo dimostrano in ogni partita: l’anno scorso all’Olimpico c’era sempre il tutto esaurito. Lottare con loro è stato molto bello. Quando sono arrivato come rivale vedevo l’ambiente, ma non lo vivevo come adesso.
Totti ti elogia sempre e chiese pubblicamente il tuo acquisto. Hai parlato con lui?
L’ho visto prima di arrivare, alla partita di beneficenza di Eto’o a Milano. Non abbiamo parlato molto, perché c’erano le telecamere, ma gli sono molto grato per le parole che ha speso per me. Qui è un dio, è una leggenda per i tifosi e ha tutta la mia ammirazione.
Come hai vissuto il giorno della tua storica presentazione?
Non ne sapevo nulla. Dopo la conferenza, il direttore Tiago mi ha detto che ci sarebbe stata una presentazione, ma io credevo si trattasse solo di una foto e qualche video. Non avrei mai immaginato tutto quello che è successo. Stavamo andando verso il centro, siamo passati davanti al Colosseo Quadrato e ho iniziato a vedere gente con le bandiere… È stato un momento davvero folle. A volte giochi davanti a 70.000 persone e sei tranquillo, lì ero nervoso. Tutta quella gente era lì per me, non avevo mai giocato per loro e venivo da una rivale. Una volta uscito, ho cercato di godermela e di vivere il momento. Ero reduce da un periodo difficile e mi diedero una grande gioia.
La “rivale” era la Juve. 12 titoli, 293 partite, 115 gol come Baggio e l’elogio costante di un’altra leggenda come Del Piero. È stato difficile cambiare?
Non è stato facile ed è stato inatteso. Qualche mese prima avevo scoperto che non sarei stato preso in considerazione dal club, ma fino a pochi giorni precedenti la realtà era diversa. È stato un colpo durissimo, ero lì da tanto tempo ed era come se fosse casa mia. Conoscevo tutti, lo stadio, i tifosi, ero il secondo capitano… La mia idea era di restare, ma il calcio è così, non sono stato il primo e non sarò l’ultimo. Sono e sarò sempre grato al club, che mi ha fatto crescere come persona e come calciatore. Sono stati sette anni molto belli.
A Torino hai giocato con Cristiano, in Argentina con Messi.
Stando accanto a loro, si impara. Se sei intelligente, solo osservandoli ti rendi conto di molte cose su come lavorano, come si curano, su ogni dettaglio. Devi cercare di assorbire, poi è difficile fare quello che fanno loro, perché nessun altro ci è riuscito. Io sono un privilegiato: ho giocato e vinto con entrambi.
Hai assorbito molto: con il portoghese sei stato MVP della Serie A, con l’argentino sei arrivato in cima al mondo.
Con Cristiano ho vissuto tre stagioni in cui abbiamo vinto molto e avevamo una grande squadra. Con Leo ho condiviso lo spogliatoio per molti anni e gli ultimi sono stati incredibili. Dopo aver lottato così tanto se l’è meritato, e alla fine si è imposto come il migliore.
Lo segui nella MLS?
Sì e non sono sorpreso dai suoi numeri. Sarà in un’altra finale, ha la possibilità di essere il giocatore con più titoli nella storia… E Cristiano ha vinto un altro titolo in Arabia. Non è per niente normale quello che fanno.
Ti appassiona anche la NBA
Mi piace molto. Purtroppo abbiamo finito la stagione tardi e non sono riuscito ad assistere alle finali dal vivo, ma in passato ho avuto la possibilità di andare a vedere qualche gara dei playoff.
Jalen Brunson, durante i playoff, ha festeggiato con un gesto simile alla tua “Mask”.
Sì! Non stavo guardando la partita, è difficile far coincidere gli orari, ma mi hanno girato subito la foto.
Sappiamo che sei un appassionato di tennis. E un grande amico di Alcaraz.
È un fenomeno. Ci siamo conosciuti durante un’intervista ATP e siamo rimasti in contatto. Non mi piace disturbare, ma gli ho detto che quest’anno sarei stato a Wimbledon, l’ho aspettato dopo una partita e abbiamo chiacchierato. Mi ha detto che mi avrebbe spedito un regalo e io gli ho risposto: “Non ancora. So che vincerai Wimbledon e, quando succederà, vorrò il regalo. Non prima”. Così è stato. Carlos è incredibile, segnerà i prossimi 15 anni. Quello che hanno fatto Nadal, Federer e Djokovic non è facile, ma lui ha tutte le caratteristiche per imitarli. Rafa è per voi spagnoli come Messi o Maradona per noi: non voglio ancora paragonarlo, ma Alcaraz ha tutto per essere come lui.
Ti abbiamo visto anche a Silverstone.
La Formula 1 ci ha invitato, non ero mai stato a una gara prima e mi è piaciuto molto. È un evento che non immaginavo così, ho visto le macchine da vicino, ho parlato con i piloti. Ho conosciuto un’altra realtà: i piloti, come nel tennis, sono soli. C’è molta psicologia e ho chiesto molto sulla loro preparazione. Vanno a una velocità incredibile in spazi così ridotti…
Tornando al calcio, ti ricordo che sei campione del mondo.
Più passa il tempo e più me ne rendo conto. L’adrenalina dei festeggiamenti non ti dà il tempo di pensare. Ora vai a piedi e incontri argentini che ti ringraziano in un modo unico. La situazione nel nostro Paese non è facile, aver dato una gioia così grande alla gente è un premio. Ci sono molti momenti che porto dentro, ma uno dei più belli è quando ti danno la medaglia, cammini e in mezzo c’è la Coppa, senza nessun altro. Vederla brillare lì, poterla toccare, baciarla… È l’unico momento che vivi da solo con lei. È allora che dici: “Ce l’abbiamo fatta, è nostra”.
Hai vinto due titoli. Ti manca la Coppa America.
Certo, è uno dei miei obiettivi. Abbiamo vinto la Coppa del Mondo, la Finalissima e quando è stata vinta la Copa America purtroppo non ero disponibile. Darò tutto per esserci e lottare per il trofeo che mi manca.
Sei nella tua maturità calcistica, qual è il tuo obiettivo ora?
Sono in un momento ideale, in termini di maturità e di forma fisica. Dopo aver raggiunto tanti traguardi, vedo le competizioni in modo diverso e sento di poter aiutare i miei compagni di squadra. Il mio primo obiettivo è essere sempre al 100%, il secondo è vincere. Quando si vince, lo si vuole sempre di più. Oggi nello spogliatoio abbiamo giocatori e un allenatore con tanti trofei, quindi si crea una mentalità vincente che, nei dettagli, può essere decisiva.
Una maturità che vivi anche fuori dal campo. Sei seguito da oltre 100 milioni di persone sui social.
Cerco di essere il più naturale possibile. Questo mi ha aiutato, forse è quello che piace di me. Non ho mai mostrato qualcosa che non sono. Non lo vivo come un peso o una responsabilità, cerco di fare le cose bene, senza mancare di rispetto a nessuno, so che molti bambini mi guarda o e voglio essere il miglior esempio con naturalezza, senza vendere fumo, mostrando che lavorando seriamente si possono realizzare i propri sogni.
Hai trascorso gran parte della tua carriera in Italia. Pensi di tornare, prima o poi, nel calcio argentino?
Spero di poter tornare un giorno. Oggi sono felice in Italia, dove mi sento a casa. Il Paese mi tratta bene e anche i tifosi, di qualsiasi squadra siano. Non ho mai avuto problemi con i sostenitori di altri club, questo ti fa sentire di esserti guadagnato il rispetto della gente in campo. Ed è molto bello.
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