L’intervista esclusiva ad Antonio, padre di Liberato Cacace, difensore dell’Empoli e primo neozelandese a giocare in Serie A
In Serie A un calciatore sta scrivendo la storia sua e del suo Paese. Ma anche del campionato italiano. Liberato Cacace è il primo neozelandese a giocare in Serie A. Ma la sua è una favola tutta italiana.
Cresce a pane e pallone. “Tutta colpa mia – afferma il padre Antonio ai microfoni di Calciomercato.it – Seguivo il Napoli, venivo dall’era di Maradona. Poi nel 2006 l’Italia ha vinto il Mondiale e Liberato aveva solo 6 anni. Gli ho trasmesso la passione per il calcio. Noi viviamo e respiriamo calcio”. Ma chiaramente non è da tutti diventare calciatori in una nazione in cui la religione sportiva prevede una palla ovale, anziché quella a sfera. Il rugby è lo sport nazionale della Nuova Zelanda. E gli All-Blacks diffondono il verbo a suon di imprese.
Il difensore dell’Empoli nasce da una famiglia dalle origini italiane, precisamente di Massa Lubrense in provincia di Napoli. Il padre Antonio è un imprenditore e lascia l’hotel-ristorante di famiglia nella penisola sorrentina per coltivare un altro sogno, quello di cambiare vita assieme alla moglie a Wellington, dove apre il ristorante La Bella Italia. Ieri era Antonio il ristoratore. Oggi per tutti è Antonio, il papà di Liberato Cacace il calciatore. Piccoli grandi cambiamenti che inorgogliscono un genitore.
Noi di Calciomercato.it abbiamo ripercorso la vita di Liberato e della sua famiglia, partendo dai sogni del ragazzo a quella chiamata inaspettata dell’Empoli, che arrivò fino a Wellington nel cuore di una strana e pazza notte.
Ripercorriamo un po’ la storia della famiglia Cacace. Siete italiani e ad un certo punto lasciate tutto e andate in Nuova Zelanda. Immagino che non sia stato semplice andare via dall’Italia…
“E’ stata un’avventura. Io sono emigrato per scelta. Mia moglie è nata in Nuova Zelanda, figlia di massesi. Sono andato lì, ho conosciuto la famiglia di mia moglie. Ho preso questa decisione di andare in Nuova Zelanda che, anche se lontanissima, dava più possibilità per i nostri figli. Siamo arrivati in Nuova Zelanda nel ’92. Mai mi sarei aspettato una situazione del genere, lo sognavo, ma…”
Cosa intende?
“Mio figlio gioca in Serie A! Liberato dormiva con il pallone. Ed è una cosa incredibile in una nazione dove si gioca prevalentemente a rugby”
Dalla Nuova Zelanda riusciva a guardare la Serie A con suo figlio?
“No, non era possibile nei primi anni 2000. Mi mandavano le cassette per vedere qualche partita, ma fin quando non è arrivato internet al 100% e abbiamo avuto la possibilità di guardare le partite sulle diverse piattaforme era complicato guardare la Serie A. Solo recentemente abbiamo avuto accesso al campionato, fino a 6-7 anni fa non c’era nulla”.
Quindi per suo figlio, il campionato italiano era piuttosto difficile da pensare, da prevedere per un futuro?
“Era molto difficile da prevedere, ma vedevo che Liberato era molto deciso a fare bene. Durante i miei viaggi gli portavo le magliette della Nazionale italiana. La maglia numero 1 è quella Azzurra. Gli trasmettevo la passione che ho per la Nazionale di calcio italiana. I ragazzi, sia Liberato che i suoi fratelli, hanno sempre seguito la Nazionale italiana e anche la Serie A”.
Liberato è descritto in Nuova Zelanda come un predestinato. Aveva sin da subito grandi potenzialità. Come ha vissuto da genitore questo hype nei suoi confronti?
“L’ho vissuto in maniera molto positiva. Siamo stati sempre orgogliosi di qualsiasi cosa facesse. Sin da quando aveva 10-12 anni fu selezionato per un talent, poi è cresciuto nelle giovanili della Nuova Zelanda e del Wellington Phoenix. La sua crescita è stata vissuta in modo molto passionale in famiglia”.
Si ricorda com’è andata quando è arrivata la chiamata della Serie A da parte dell’Empoli?
“Liberato giocava nel Sint-Truiden, in Belgio. Durante una notte, mia moglie mi svegliò perché il mio cellulare squillava, arrivavano tante notifiche dall’agente di mio figlio. E all’improvviso arrivò questa notizia che l’Empoli aveva acquistato Liberato. Dopodiché il telefono è impazzito: arrivavano messaggi dall’Italia e anche dalla Nuova Zelanda. Eravamo molto presi e orgogliosi. Ma anche increduli. Liberato è onorato di essere ad Empoli, perché lavora molto sui giovani, l’ideale per lui. E poi il paesino è a misura d’uomo. E’ perfetto”.
Per quanto altro tempo lo vede ancora ad Empoli?
“Non so, ha ancora un altro anno da contratto con l’Empoli. La cosa importante è salvarsi dalla retrocessione, poi si vedrà. La carriera di Liberato è solo all’inizio, ha 23 anni. Speriamo che ci sia la possibilità di migliorarsi e di crescere”.
Chi era l’idolo di Liberato da ragazzino?
“Dopo la Coppa del Mondo del 2006, logicamente gli idoli di Liberato erano un po’ tutti gli Azzurri. Però guardava molto Fabio Grosso. Ma era anche interessato a Paolo Maldini. Lui si rivedeva in uno di loro”.
Quando ha dovuto scegliere di indossare la maglia della Nuova Zelanda, come ha vissuto da padre italiano questa cosa?
“Ne abbiamo parlato in famiglia. Ma le scelte spettano a lui. Noi gli possiamo offrire dei consigli. Ha scelto la Nuova Zelanda anche perché circondato da amici e da compagni di squadra neozelandesi della sua stessa età. Quest’anno c’è la Coppa d’Asia, ma c’è anche l’Olimpiade di Parigi. C’è la possibilità che possa essere convocato tra i tre over. E’ stato presente a Tokyo nel 2021, ma c’erano le restrizioni anti-Covid e non è stato uguale ad un’altra Olimpiade. Lì fece un bellissimo gol (contro l’Honduras ndr)”.
C’è quindi la possibilità di vederlo tra i convocati alle Olimpiadi di Parigi?
“Può darsi. E’ stato anche nominato capitano della Nuova Zelanda nelle ultime amichevole. E’ una soddisfazione molto grande, siamo contentissimi. Come padre italiano che vive in Nuova Zelanda, non potrei chiedere altro”.
Lei ha parlato di Maradona…Ha visto suo figlio giocare in Serie A, l’ha visto diventare capitano della Nuova Zelanda. Ma che emozione proverebbe guardando suo figlio con la maglia del Napoli?
“Eh (ride ndr). Napoli sarebbe un altro grande sogno. Può capitare di tutto, quello che vogliamo goderci è il presente. Ora siamo ad Empoli. L’anno scorso hanno fatto un campionato bellissimo, si sono salvati. E speriamo che anche quest’anno ci riusciranno. Poi si prenderanno le giuste scelte per il futuro”.
Immagino che abbia parlato con suo figlio dell’andamento dell’Empoli e di come sia cambiato tutto con mister Nicola…
“A dire la verità cerchiamo sempre di non parlarne. Quello che si dice negli spogliatoi, quello che si fa nel club, sono cose sue. A volte ne parliamo quando Liberato è un po’ giù di morale, ma fa tutto parte del calcio. E deve essere sempre pronto. Solo questi consigli gli potremmo dare”.
Se Liberato non avesse fatto il calciatore, chi sarebbe diventato?
E’ un ottimo cuoco, cucina bene. Non saprei cosa avrebbe fatto se non fosse diventato calciatore. Degli altri figli, uno è un avvocato e l’altra lavora in un posto bellissimo a Londra – poi Antonio Cacace chiude con questa riflessione sul figlio – Siamo molto orgogliosi di Liberato per come è arrivato a questi traguardi. Ci è arrivato con dedizione, lavoro e umiltà. Senza queste tre cose non puoi andare tanto lontano. Bisogna lavorare sodo, crederci e ci vuole umiltà.
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