Michele Fratini, conteso da Juventus e Roma come capo scout, si racconta a Calciomercato.it
Cosa accomuna Roma e Juventus? Non soltanto una domenica deludente dal punto di vista dei risultati: il ko contro l’Atalanta ha complicato la corsa Champions dei giallorossi, mentre il pareggio interno contro la Salernitana già retrocessa è stata l’ennesima delusione per i tifosi bianconeri. Per entrambi i club c’è aria di rinnovamento a livello dirigenziale, a prescindere da chi sarà il prossimo direttore sportivo dei capitolini da una parte e da chi sarà l’allenatore della Juve dall’altra. C’è un nome finito sul taccuino di entrambe, quello di Michele Fratini per il ruolo di capo scout. Premiato per due anni di fila, nel 2022 e nel 2023, come miglior scout italiano, ha lavorato per le Nazionali italiane dall’Under 15 all’Under 19, al Torino e in Serie C con Montichiari e Viareggio. Per conoscere meglio il suo pensiero, Calciomercato.it ha intervistato in esclusiva Michele Fratini.
– Michele, il suo nome viene accostato a Roma e Juventus per il ruolo di capo scout, ma in cosa consiste esattamente?
Scout significa scovare, scoprire. E’ un ruolo molto bello e particolare: è come essere uno chef con gli ingredienti che sono i calciatori da cercare per creare una pietanza. E’ bello perché vai a fornire alla società le risorse indispensabili per le varie rose. Cosa si guarda ad esempio in un portiere? Tra i pali ci sanno stare quasi tutti, ma deve essere bravo nelle uscite, devi vedere com’è la presa, se riesce a essere il padrone di casa in area di rigore. I difensori centrali, invece, devono essere bravi a marcare, poi se esce bene con i piedi tanto meglio. Nel calcio contano i calciatori visionati dagli scout in base a richieste di allenatori e società, quindi è un ruolo essenziale. Molti guardano sulle piattaforme i calciatori: lì si vede solo quando hanno la palla, ma un giocatore andrebbe visto dal vivo per capire come si posiziona un difensore o un attaccante quando non hanno il pallone. Lo scouting è lo 007 del calcio, è colui che deve prendere tutte le informazioni su un giocatore.
– In un calcio che si affida sempre di più agli algoritmi, perché è importante andare a vedere i calciatori sul campo?
Oggi molti lavorano con gli algoritmi, ossia con gli studi che vanno a capire il rendimento dei calciatori. Io sono a favore del progresso e non voglio andare in contrasto con la tecnologia, ma quello che conta davvero è l’occhio, la lungimiranza, il fiuto… Ognuno ha il proprio metodo, nella vita vince chi sbaglia meno. Dopo venti anni di passione, si sbaglia sempre meno. Un attaccante, ad esempio, può avere un rendimento eccelso quest’anno, ma fare male quello successivo. Ormai si vuole ‘tagliandare’ i calciatori. Faccio l’esempio di Ilicic, che arrivò alla Fiorentina dopo un’ottima annata al Palermo senza ambientarsi; poi andò all’Atalanta e tornò grandissimo. Un calciatore si riconosce dall’allenamento prepartita, dal senso della posizione, dal livello mentale. C’è un metodo che per me è quasi infallibile, che è la scheda di valutazione per scrivere le caratteristiche tecniche di ogni calciatore.
– Visto che ha parlato di schede, può farci gli esempi di due giovani che militano nella Roma e nella Juve?
Per la roma, lo abbiamo già visto in prima squadra c’è Nicolò Pisilli, classe 2004, centrocampista centrale: ha la corsa di Barella, ha dei tempi di inserimento pazzeschi. Anche a livello internazionale si è presentato con il gol allo Sheriff in Europa League. Mourinho lo ha visto, ma chi lo ha scoperto è stato Alberto De Rossi – una istituzione del calcio italiano e un maestro vero – che sa capire quando i giovani possono fare il salto. Pisilli è pronto mentalmente, va solo gestito per capire quando avrà continuità, ma sicuramente avrà il suo spazio. Per la Juve dico Gianmarco Di Biase, classe 2005, attaccante. Può fare sia la punta centrale che l’ala sia a destra che a sinistra. Va alla Pistoiese per fare allievi e juniores, poi dopo cinque mesi in Serie D riesce a convincere la Juve: è esplosivo e non dà punti di riferimento. Purtroppo ha avuto un brutto infortunio l’anno scorso, ma è veramente forte, se devo trovare una pecca non fortissimo nel gioco aereo, ma può migliorare. Però si può accettare che una punta esterna non sia bravo di testa, penso a Salah, Camoranesi, Leao che di testa segnano poco… Se giochi col tridente, è una caratteristica che può mancare.
– Quali sono i suoi modelli di riferimento e ci può riassumere quale contributo porterebbe ad un club di serie a?
Mi sono formato a Coverciano nel centro tecnico federale grazie ad un grande amico come Giancarlo Antognoni che coordinava lo scouting delle nazionali giovanili per territorio. Per il nord c’era il grande Mario Mereghetti, ex responsabile del settore giovanile dell’Inter, che ha scoperto anche Ausilio come dirigente. Per il centro c’era Diego Giannattasio, allenatore campione d’Italia Primavera con i vari Storari, Piovanelli e Gattuso. Per il sud c’era Vincenzo Leccese, anche lui ex calciatore. Senza dimenticare Carlo Biagiotti, osservatore della Fiorentina, che è stato come un padre, un grande maestro. Da loro ho cercato di rubare qualcosa con occhi e orecchie, poi ognuno mette il proprio. Il mio contributo è anzitutto la mia grandissima passione: amo profondamente la disciplina del gioco calcio. Ho avuto esperienze in categorie diverse e ho maturato molta esperienza, formandomi a Coverciano dove ero affascinato dai corsi di qualsiasi allenatore. Mi sento pronto e sarei felice di…
– Lei ha fatto conoscere al pubblico italiano il nome di Charlie Patino, ci sono profili italiani altrettanto interessanti?
La Fiorentina ha un profilo molto interessante che si chiama Rubino, figlio dell’ex calciatore Raffaele. L’ho visto in finale di Coppa Italia Primavera contro il Torino: deve riempirsi ancora fisicamente, ma ha una qualità devastante. Riesce con semplicità a fare cose che sembrano impossibili. Charlie Patino è vero ho cercato di farlo conoscere in Italia: è stato scoperto da piccolo dall’Arsenal, dove c’era un grande personaggio come Liam Brady. Per me Patino è forte tecnicamente, ma soprattutto è un regista che ha sia il lancio che il fraseggio, con la palla ai piedi è un fuoriclasse. E poi è un mancino, che nel calcio non si bocciano mai: hanno un qualcosa in più. Da quello che si sente sui media, lui vorrebbe venire in Italia a fare esperienza e se dovessi andare in qualche club, io sarei felice di prenderlo in considerazione: lo metterei tra i primi nomi del mio taccuino, ci metterei la faccia per questo calciatore.
– Ci dica la verità, ma tra la Roma e la Juventus, quale progetto la affascina di più?
Sarebbero due grandissime realtà. Da una parte la Juventus è un grandissimo club a livello professionale, non c’è bisogno di presentazione e poi c’è un amico come Cristiano Giuntoli che stimo dai tempi del Carpi, che lavora molto bene e conosce molto bene il calcio. A Roma ho la fortuna di conoscere l’ambiente grazie a Rai Sport, è una città che ti fa innamorare, la piazza è calda e la pressione ti aiuta a fare bene. Ora che stanno facendo il restyling di tutto, sarebbe ancora più bello farne parte. La proprietà vorrà stare all’avanguardia e poi vedo quel senso dell’appartenenza con De Rossi padre e figlio, oltre a Bruno Conti che mi piace molto. Senza direttore sportivo, la Roma sta andando avanti con il cuore: ci andrebbero tutti a piedi. Sono combattuto.
– Se proprio dovesse scegliere?
Beh, vinca il migliore.