A Roma l’evento di SFS e Deloitte che ha affrontato il tema degli abusi e le discriminazioni nel calcio con personalità come Silvia Salis, Francesco Pastorella e due componenti Figc
Si è svolto a Roma l’evento “SAFEGUARDING: Politiche e Principi Fondamentali per la Prevenzione e il Contrasto dei Fenomeni di Abuso, Violenza e Discriminazione nel Calcio“, organizzato da Social Football Summit in collaborazione con Deloitte Legal. Tante le personalità che si sono succedute nei due panel dopo i saluti istituzioni dell’avvocato Pierfilippo Capello e Gianfilippo Valentini: Silvia Salis (vicepresidente vicario del Coni), Domenico Costantino (UNIBARI e Figc), Francesco Pastorella (ex dirigente Roma e attualmente Rothschild Dynasty), Vito Di Gioia e Paolo Mormando (FIGC).
Nel primo panel Silvia Salis ha spiegato la situazione per quanto riguarda le donne in particolare, ma non solo: “C’è stata una presa di coscienza su un tema molto serio che non può essere affrontato in maniera populistica. Lo sport è un ambiente profondamente maschile, quindi nel ruoli dirigenziali ci sono ancora poche donne ed è difficile avere un cambio culturale. Il modo di instaurare rapporti deve cambiare. Safeguarding si muove sulla linea della prevenzione e sulla segnalazione e la risoluzione. Si deve evitare l’effetto isolamento della vittima, che è uno dei motivi per cui non ci sono denunce. Devono cambiare i comportamenti. Riguarda le donne ma anche tutti gli adulti che vengono presi di mira e isolati per colpirli a livello professionale. Un sistema sicuro tutela i giovani, i minori, tutti. Nessuno deve trovarsi in situazioni ambigue. Il controllo non esiste, ma esistono prevenzione e repressione di certi comportamenti o di certe situazioni. Un altro tema su cui ragionare è ad esempio la presenza delle donne nelle posizioni dirigenziali, o come allenatrici almeno nelle squadre femminili, che invece hanno quasi tutti uomini a guidarle”.
Le fa eco Francesco Pastorella, che racconta proprio quanto fatto nella Roma nel suo periodo di permanenza in giallorosso: “La squadra di calcio non solo ha la possibilità, ma ha il dovere di intervenire. Si parla tanto, ma di azioni ce ne sono poche. I calciatori devono mettersi a disposizione delle scuole calcio, sono degli idoli che i più giovani guardano. Se Yuri Chechi va in una palestra e invita a denunciare gli abusi, almeno un bambino in più lo farà. Dobbiamo utilizzare l’influenza delle squadre di calcio per fare determinate azioni. La difficoltà è convincere le proprietà, la città, che si possono cambiare le cose. Abbiamo preso la squadra femminile e l’abbiamo portata a firmare dei protocolli d’intesa. Non veniva Pellegrini, ma Elisa Bartoli, nei protocolli e A Scuola di Tifo. E sono orgoglioso di essere stato in una squadra che ha avuto tre donne come Ceo. Il quesito che ci siamo posti tre anni fa è ‘cosa possiamo fare per la Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne’? Per me fare solo i comunicati non serve a nulla, noi abbiamo fatto un lavoro di squadra con la proprietà e i dipartimenti. Abbiamo scoperto che il 70% di chi abusava sulle donne aveva la chiavi di casa. E chi aveva paura di denunciare era per paura dell’indipendenza economica. E abbiamo fatto in modo di istituire dei corsi di aggiornamento. Facevamo eventi ogni mese, delle senatrici ci hanno chiamato per capire di cosa si trattasse e hanno modificato una legge sulle donne vittime di abusi”.
Nel secondo panel parola in primis a Paolo Mormando, componente della commissione a tutela dei minori della Federcalcio e con un passato nella Procura Federale: “La Procura Federale arriva quando purtroppo il danno per lo sportivo si è già realizzato. Importante è che i provvedimenti siano efficaci, se non lo fossero allora le norme sarebbero solo una formalità senza attuazione e il sistema ne risentirebbe. DI 1500 atleti che abbiamo intervistato ben il 40% ha dichiarato di aver subito violenze. Quindi è un fenomeno davvero importante. Il 34% dell’intero ci dice che la violenza è stata di carattere psicologico. E la maggior parte sono ragazzi. Il 33% invece ha detto che la violenza non proveniva dall’allenatore o dal dirigente, ma dai compagni di squadra. C’è un portale che permette di fare segnalazioni anonime e nell’ultima stagione ne sono arrivate oltre 250, solo 4 in Campania, che genera il maggior numero di procedimenti disciplinari da parte della Procura Federale. Esiste un problema nel denunciare. Aumenta poi la violenza digitale, non c’è nessun tipo di formazione, i ragazzi sono completamente ‘abbandonati’. Ma scrivono di tutti nei messaggi, provocando danni inimmaginabili. Fondamentale per la crescita del sistema è comunque la formazione, i ragazzi vengono presi e mandati in campo, poi ritirati. Il problema sono anche i genitori, ho visto cose assurde. E si è ancora inermi su questo aspetto. E la Figc non può fare niente se non sono atleti tesserati Federcalcio.
E poi ha concluso Vito Di Gioia, anche lui componente della Figc: “Il calcio è un gioco, è l’unica federazione che ha questa parola. Il calcio viene vissuto in maniera spontanea, questo ci ha portato da sempre a tutelare il gioco. L’approccio tecnico è mettere i ragazzi nelle condizioni di potersi esprimere al meglio, condizionando anche le prestazioni in campo. Da tempo a Coverciano quando parliamo di settore giovanile, abbiamo delineato gli obiettivi: produrre calciatori per la prima squadra. Immaginate che questo ha criticità e rischi enormi. Non parliamo di oggetti, dobbiamo adattarci alle loro esigenze. Anche a Coverciano bisogna metterli nelle condizioni di esprimersi al meglio, non come fossero oggetti per la prima squadra. Cambia l’approccio”.
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