Il responsabile dell’area tecnica dei giallorossi, Pantaleo Corvino, ha rilasciato un’intervista esclusiva a Tv Play
Siamo stati a Lecce, nella sede del club giallorosso, il quartier generale da cui Pantaleo Corvino porta avanti le operazioni di calciomercato. Ed è sempre da qui che il responsabile dell’area tecnica del Lecce fa partire l’enorme lavoro che c’è dietro la scoperta dei nuovi talenti da lanciare nel grande calcio.
Corvino ha sempre sostenuto che il talento non ha confini e questa chiacchierata insieme ci aiuta a capire meglio perché questa affermazione è tanto vera. La storia di uno dei dirigenti più navigati ed esperti del calcio italiano è lì a confermare come davvero da ogni angolo del mondo, un continente dietro l’altro, sia stato possibile per lui scovare calciatori di grande qualità, farli maturare in giallorosso e ricollocarli sul mercato realizzando importanti plusvalenze attraverso cui garantire sostenibilità al club.
Direttore, con la salvezza avete raggiunto un altro traguardo straordinario.
“Un altro traguardo straordinario, figlio di tanto lavoro. E quando coniughi lavoro e qualità, hai seguito la strada giusta. A Lecce, negli ultimi tre anni abbiamo ottenuto grandi risultati, con sostenibilità economica e patrimonializzando, che non è facile. Lo abbiamo fatto con la squadra più giovane del campionato. E’ ciò che mi ha sempre caratterizzato nella mia carriera, ma in particolare qui, dove il presidente ha voluto riportarmi, e per uno figlio del suo territorio c’è sempre quel qualcosa in più da dare. Penso che i risultati che ho raggiunto dimostrino il mio valore, tra quelli che ho ottenuto con le prime squadre e con le selezioni giovanili”.
Il momento più bello e quello più difficile di questa stagione?
“Il momento più duro è stato quello in cui abbiamo dovuto prendere una decisione dolorosa, dopo Lecce-Verona (l’esonero di D’Aversa, ndr), ma andava fatta una scelta giusta per la nostra squadra, la nostra società e i nostri tifosi. Il momento più bello è stata la vittoria col Sassuolo, la gioia dei nostri tifosi verso un obiettivo che si stava materializzando è stata stupenda”.
Si aspettava un impatto del genere da parte di Krstovic e che con le sue intenzioni di mercato il Lecce diventasse subito una squadra difficile da affrontare? “Quando lavori su mercati alternativi e maggiormente nell’intravedere le qualità potenziali di un giocatore più che quelle conclamate, devi per forza avere il coraggio di rischiare. E’ un discorso valso per Krstovic e per tanti altri calciatori, come per esempio Hjulmand, che ci ha portato benefici tecnici ed economici: grazie alla sua cessione, abbiamo potuto acquistare diversi giocatori”.
Hjulmand in Portogallo è andato subito forte, è diventato un idolo, ha vinto. E’ un rimpianto per alcune squadre che non sono riuscite a prenderlo quest’estate, specie le italiane?
“Si dice che l’erba del vicino è sempre più verde, ma a volte nel calcio questo non avviene. Nessuno ha pensato di poter spendere 20 milioni per lui, lo ha fatto lo Sporting, ognuno fa le proprie valutazioni”.
Gotti in una intervista ha parlato di Dorgu come giocatore dalle caratteristiche simili a Bale: lei da’ sempre molto materiale ai giornalisti e agli operatori di mercato con i suoi colpi. Adesso siamo già entrati di nuovo in pieno calciomercato?
“Dorgu è sicuramente appetibile sul mercato, abbiamo fatto scoprire al calcio italiano tanti giocatori di alto livello. Falcone, Baschirotto, Pongracic, Gallo, Gendrey, Ramadani, ma a questi vanno aggiunti anche altri. Puntiamo molto sulle potenzialità, come detto, ma anche sui prospetti in uscita dalla Primavera campione d’Italia. Una Primavera che quando sono arrivato era in Serie B, prima di riportarla in auge. Giocatori come Dorgu, che è già molto richiesto, hanno un potenziale che ancora chi guarda dal di fuori non ha potuto apprezzare appieno, sono figli di questa linea di pensiero, cioè di coltivare le potenzialità in casa e cercarle su mercati alternativi. Dorgu è passato da terzino a esterno alto, ha avuto la capacità di sostituire bene Banda che si è infortunato”.
Il presidente ha dichiarato che verrà trattenuto chi ha senso trattenere, mantenendo giocatori coinvolti. Cosa vuole aggiungere?
“Ogni società vorrebbe sempre tenere i migliori. Abbiamo fatto delle cessioni importanti in passato, ora non ne abbiamo la necessità e vorremmo confermare la squadra attuale. Ma sappiamo anche che davanti a richieste e ambizioni dei calciatori e proposte di altri club, è difficile dire di no. Non tratterremo gli scontenti, ma le proposte che riceveremo devono anche soddisfare le nostre esigenze”.
Mandare via D’Aversa che aveva iniziato il campionato alla grande non è stato facile, ma con Gotti ancora una volta ha indovinato l’allenatore giusto:
“I risultati ottenuti sono figli del lavoro fatto in campo e fuori dal campo. Va ricordato quanto hanno fatto Baroni e D’Aversa. Gotti lo conoscevo per averlo avuto a Bologna come secondo di Donadoni, gli va fatto un plauso per essersi calato nella nostra realtà in breve tempo. Lui si è fidato di noi e ha fatto bene, noi abbiamo fatto altrettanto. Essersi salvati con tre domeniche di anticipo è stato davvero un gran bel risultato”.
Molti procuratori sono felici di accettare il Lecce, perché avete costruito una realtà sana, con un monte ingaggi basso e una media punti in compenso altissima. Qual è la sua ricetta vincente?
“In effetti è difficilissimo lavorare con una squadra giovane in Serie A e riuscire a patrimonializzare, a coniugare risultati aziendali con il risultato sportivo. Un esercizio quasi estremo. E’ bello quando tutto va per il meglio, ma il calcio è figlio dei risultati e quando non ci si riesce i condizionamenti dei risultati negativi possono essere tanti. La cultura della sconfitta, in Italia, è poco accettata. Ma dobbiamo mantenere questa politica e questo metodo”.
Negli anni lei non ha sbagliato mai un colpo, ma con gli attaccanti da’ il meglio di sé: Bojinov, Vucinic, Jovetic, Vlahovic, Krstovic. Cosa la colpisce di un attaccante?
“Da direttore sportivo sai che ci sono ruoli più importanti di altri, che accendono la fantasia dei tifosi e le aspettative loro e della società. Ho sempre cercato per primi portiere e attaccante, come filosofia, fin dalle categorie più basse. Ho fatto leva sulle mie capacità, che non sempre si dimostrano vincenti se vogliamo. Ma solo chi non lavora non sbaglia. Cerco di sforzarmi a sbagliare il meno possibile, mi appello alla mia esperienza e alle mie idee, guardando cosa un giocatore può diventare piuttosto che chi è in quel momento, che è quello che devi fare quando non hai disponibilità economica. Solo quattro volte ho superato la soglia dei 10-15 milioni…Ovviamente il rischio è alto, ma i risultati sono stati nel complesso dalla mia parte”.
Una curiosità su calciatori come Bojinov, Vucinic e altri, poi arriveremo a Vlahovic…
“Ogni giocatore ha la sua storia e può essere potenzialmente un top o un flop. A volte dipende non solo dalle capacità, ma da tanti fattori mentali, psicologici e ambientali, che possono far esprimere bene o meno un calciatore. Bojinov lo presi a 12-13 anni, in un viaggio a Malta, dove ero andato per vedere Berbatov. Quest’ultimo tra l’altro lo avevamo preso, prima che saltasse tutto dopo l’iter delle visite mediche… Poi, al debutto di Bojinov in Serie A, dopo che in metà stagione aveva fatto 11 gol, decisi di cederlo alla Fiorentina, per dare più spazio a Vucinic. Non avevo il consenso della società e non avevo quello di Zeman, ma si rivelò la scelta giusta, anche perché poi Vucinic lo rivendemmo a 21 milioni”.
Non possiamo non menzionare Vlahovic, all’epoca qualcuno disse che lo avevate pagato tanto…Poi è stato comprato per una cifra astronomica dalla Juventus. Qualcuno l’ha chiamata per dirle che si erano sbagliati?
“Si pensava che non fosse giusto il mio acquisto di Vlahovic, perché era un ragazzo di 17 anni che non conosceva nessuno, pagato un milione e mezzo di euro e che occupava una casella da extracomunitario che precludeva la possibilità di altri acquisti per la prima squadra. Ebbi molte critiche dall’interno e dall’esterno, anche per il fatto di averlo preso a dicembre per farlo poi arrivare a Firenze a luglio. Fu un momento dove fui molto criticato, è vero. Ma vederlo oggi a quei livelli e sapere che la Fiorentina ha incassato 80 milioni dalla sua cessione, fa diventare carezze quelle critiche. Ricordo che al momento della firma di Vlahovic, la madre mi guardò negli occhi e mi disse: ‘Guardi che le sto dando il nuovo Batistuta’. Io le risposi, preso alla sprovvista: ‘Mi basterebbe che sia il nuovo Toni’. Aveva ragione lei e mi ero sbagliato io”.
Non è sempre facile interfacciarsi con le famiglie dei giocatori: come opera in questi casi?
“Come dicono a Napoli, ogne scarrafone è bello a mamma soja, è giusto così, ognuno pensa che possa diventare il migliore. Bisogna essere capaci di tranquillizzarli sotto l’aspetto genitoriale innanzitutto, la cosa importante non è tanto che diventi un campione quanto che venga preso per crescere in un contesto sano e seguito da professionisti che cercheranno di fare il suo bene. Ho sempre lavorato in questo modo, sento molto questo aspetto, sono anche nonno per cui sono cose che capisco bene”.
Ha un podio ipotetico dei suoi acquisti migliori, di giocatori cui è particolarmente affezionato o per quanto riguarda trattative che l’hanno soddisfatta perché particolarmente difficili?
“Sono tanti, non mi va di fare torto a nessuno. Il colpo migliore, ti risponderei, è sempre il prossimo”.
Non è che ha già preso il nuovo Vlahovic?
“Partiamo sempre da ultimi, fateci ancora godere di questa impresa ancora per qualche giorno, prima di pensare al futuro”.
Come reagisce quando esce sui giornali il nome di un giocatore che sta trattando in gran segreto?
“Dovendo rimanere sempre all’interno di parametri economici, se aumenta la concorrenza aumentano i prezzi. Si lavora sicuramente meglio se il nome rimane al coperto. A volte però c’è qualche soffiata che non si sa da dove arriva…Le cose possono saltare anche a qualche minuto dalla firma”.
Ricorda qualche trattativa saltata che le è dispiaciuta particolarmente?
“Forse l’ultima, quella di Ferguson. Mancavano ormai pochi dettagli. Poi è uscita la notizia, ed è diventata affare di qualcun altro”.
C’è stato un momento in cui lei poteva andare al Milan, alla Juve o ad altri grandi club?
“Ho avuto un percorso importante tra campionato e coppe europee. Nel mio momento migliore in carriera, non posso nascondere che sarei potuto andare in due o tre club dove avrei potuto lottare per vincere lo scudetto, ma non farò nomi. In ogni caso lavoro e do il meglio dove mi sento bene. E’ successo alla Fiorentina e succede al Lecce, dove ho trovato società e città che mi hanno supportato e fatto sentire in famiglia. Quindi so dire anche di no a certe proposte, come ho fatto nella mia carriera. Non me ne pento, quando decido una cosa lo faccio con il cuore”.
Lei ha sempre molte alternative, come disse una volta? Magari noi facciamo uscire tre nomi sui giornali e lei ne ha quindici in mente: “Mi fa comodo se non esce quello vero, ovviamente. Poi tante cose non si possono programmare più di tanto e si agisce sul momento, magari anche di istinto”.
Giacomazzi nello staff di De Rossi, che idea si è fatto?
“Guillermo lo portai nel mio primo ciclo a Lecce insieme a Chevanton, due scelte straordinarie non solo sotto il punto di vista tecnico ma anche professionale e comportamentale. Oggi sono felice per il suo percorso come professionista e come uomo, per la piega che sta prendendo”.
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