Pamela Conti, ex calciatrice di grande valore, e ct che ha scritto la storia del movimento femminile venezuelano, è intervenuta a Calciomercato.it
Il calcio nel dna, allenatrice per vocazione. Pamela Conti è stata una trequartista molto forte e da ct ha scritto la storia del calcio femminile venezuelano, vincendo in questi anni due medaglie d’oro e una d’argento. Ha poi ottenuto una qualificazione al Panamericano e, per la prima volta della selezione vinotintos, una qualificazione al mondiale Under 20 dove è stato fatto un punto storico. Nata a Palermo, la sua storia è un puzzle di emozioni, ricordi, viaggi e fantastiche emozioni culminate nei traguardi delle sue giocatrici.
Rileggendo la tua storia si percepisce fortemente la tua passione per il calcio, per gli allenamenti, per tutto ciò che circonda il mondo del pallone.
“E’ proprio così. E’ da un mese che sono tornata a casa, dalla mia famiglia, per ricaricare un po’ le batterie, dopo cinque anni di lavoro con il Venezuela. La mia storia viene da una famiglia di giocatori. Mio padre, i miei fratelli sono stati giocatori professionisti e anche io ho sviluppato un grande amore per il calcio”.
Hai viaggiato moltissimo in questi anni. Spagna, Venezuela, Russia, sei stata un po’ in tutto il mondo. A prescindere dalla tua esperienza come Ct della nazionale venezuelana, qual è un posto che ti ha colpito, che ti ha trasmesso quell’energia che ha contraddistinto la tua carriera?
“E’ l’Italia, è il mio paese, lo amo, sono orgogliosa di essere italiana. Un altro paese che mi ha sempre trattato bene, facendomi sentire a casa, è stata la Spagna, che è stata la mia prima esperienza dopo la Torres. Sono stati tre anni a livello calcistico incredibili, sia con il Levante che con l’Espanyol. Ho studiato a Madrid, con l’Atletico, ho conseguito lì il diploma Uefa A. Per me insomma la Spagna è una seconda casa”
Che momento è storicamente per il calcio femminile? Abbiamo visto squadre in grande crescita e che hanno investito molto come la Roma e la Juventus. Questo processo di crescita secondo te continuerà? C’è un modello in altri paesi per il calcio femminile che l’Italia deve seguire? O sono gli altri che devono ispirarsi al modello italiano?
“Tutto nasce dopo il 2013/2014, quando la FIFA ha iniziato a inserire più nazionali per la Coppa del Mondo. E’ venuto fuori poi il modello Barcellona, che è quello da seguire in questo momento. Loro e il Lione, sono le due squadre che hanno vinto di più a livello europeo, anzi direi a livello mondiale, tra Champions e campionati. Dal Barcellona vengono le ultime vincitrici del Pallone d’Oro, Alexia Putellas e Aitana Bonmatì. Con la Putellas ho avuto la fortuna di giocare anche insieme nell’Espanyol, si vedeva già che era un talento incredibile e sono molto contenta per lei. La Spagna ha investito tantissimo, se pensiamo che ci hanno messo 24 anni prima di arrivare ad un Mondiale, per poi diventare campione del mondo. Possiamo parlare anche della Corea, che è un paese che ha investito tanto nel calcio femminile negli ultimi 40 anni. Hanno vinto gli ultimi due Mondiali giovanili, sia Under 17 che Under 20. L’anno prossimo sarà varato un campionato professionistico anche in Canada, quindi penso ci sia uno sviluppo incredibile del calcio femminile, che non si fermerà”.
Sei seguita da una procuratrice che è la numero 1 nel suo settore, Rafaela Pimenta. Lei investe tanto e crede molto nel calcio femminile. Pensi che anche in Italia il fenomeno possa crescere sempre di più, considerando gli acquisti che ha fatto la Juventus, a livello mediatico e non solo? E’ un esperimento che funziona arricchire le proprie squadre con giocatrici forti straniere?
“Penso che le giocatrici straniere portano sempre qualcosa di buono, sono importanti per il campionato. Ma non dobbiamo dimenticarci che in Italia devono giocare le italiane, per rafforzare la Nazionale. Secondo me ben vengano calciatrici importanti che possano fare la differenza, ma non giocatrici che hanno solo il nome e mettono da parte magari un’italiana, questo per me non sarebbe giusto. Tutto ciò che viene per far migliorare il campionato italiano, ben venga”.
L’essere cresciuta in una famiglia di calciatori ti ha dato una spinta enorme. Come hai trasmesso la tua passione alle ragazze della nazionale venezuelana che hai allenato? Tra l’altro, grazie all’opera di valorizzazione che hai fatto, il ranking è cresciuto tantissimo.
“Quando sono arrivata in Venezuela ho cercato di cambiare la mentalità, non era una nazionale che vinceva tanto. Ho cercato di fargli credere in qualche modo che non dovevamo avere paura della vittoria. Quando ti abitui a perdere e poi stai vincendo, ti sembra qualcosa di nuovo, non ci sei abituato. È stato un percorso in cui la prima cosa che ho detto è stata che se volevamo vincere, dovevamo cambiare la mentalità. La cosa più importante in questi anni è stata cambiarla in tante giocatrici, che hanno talento ma non avevano avuto una formazione al successo a livello mentale. Oggi ho lasciato una nazionale con delle caratteristiche diverse a livello mentale rispetto a cinque anni fa, adesso sono molto più professioniste e questo per me è stato il risultato più importante”.
Apprezzo ancora di più quanto stai dicendo, i mancini hanno qualcosa in più.
“Alla fine di quella partita, parlai con la Carrasco, avevamo un raduno Under 20 e l’ho convocata. Ricordo che al centro sportivo si è messa accanto a me e le chiesi che cosa voleva fare da grande. Perché era veramente brava, ma a livello fisico faceva fatica. Lei mi rispose che voleva arrivare nella nazionale maggiore. Ci stringemmo la mano e ci dicemmo che avremmo fatto questo cammino insieme. Al ritorno a Caracas, smise di giocare con la sua squadra e si allenò sei mesi con me, tutti i santi giorni. Ogni mattina andavo in palestra con lei, il pomeriggio andavamo a correre e facevamo tecnica individuale. Nel 2022 siamo arrivate al quarto posto all’Under 20 Sudamericano, poi abbiamo vinto una medaglia d’oro ai Giochi Sudamericani in Paraguay, dove è stata una delle migliori in campo. Poi è andata in Coppa America con la nazionale maggiore e in sei mesi le è cambiata la vita. L’ha acquistata l’Huelva portandola in Spagna e da quest’anno è al Levante, ormai è una pedina importante della nazionale maggiore. Sono felice per lei, abbiamo in comune il venire da un quartiere piuttosto particolare”
Hai fatto questo parallelismo tra Ballarò a Palermo e il Venezuela. Per te deve essere stato in qualche modo più naturale calarti in una realtà del genere. Oggi punteresti di più su un’altra nazionale o su una squadra di club?
“Sinceramente non ho delle preferenze. Sono una ragazza che ha girato il mondo, come hai detto, non mi fa paura continuare a farlo. Importa che sia un progetto serio dove si possa continuare a crescere. Sono una ragazza che si adatta quasi facilmente a tutto. Ho vissuto a Mosca, ho vissuto in Venezuela, quindi è più giusto che mi adatti io a un altro paese piuttosto che un altro paese si adatti a me, questa è la mia filosofia”.
Passando al calcio maschile, quali sono stati i giocatori che ti hanno fatto emozionare e sognare di più, pur essendo difficile fare paragoni tra i due mondi?
“Prima di rispondere a questo, mi piacerebbe dire una cosa su due ragazzi palermitani, che continuano ancora a farmi sognare e spero di vederli in Serie A. Uno è Giovanni Lauricella, che è diventato campione d’Europa Under 17, è cresciuto con me quando aveva sei anni ed è andato via dalla mia scuola calcio a 12. E l’altro è Giuseppe Pipitò, che per me è come se fosse un figlio. E’ uno dei talenti più promettenti del calcio italiano, oggi è alla Juventus, anche lui è stato con me per sette anni. Ogni volta che torna a Palermo, che sia in estate o durante le vacanze natalizie siamo ad allenarci al Foro Italico in città alle sette di mattina, perché entrambi abbiamo quella fame di fare gol. I miei idoli nel grande calcio sono Ronaldo il fenomeno, Roberto Baggio, Francesco Totti. Io giocavo con la 10, quindi mi ispiro a quei giocatori lì”.
In conclusione, un allenatore che ti piace, italiano o straniero?
“Tutti potrebbero dire Guardiola, è normale. Ma a me piace molto Ancelotti, per il suo carisma. Non è facile oggi con la nuova generazione avere un feeling. Penso che tutti gli allenatori siano preparati a livello tecnico e tattico. Ma quel fattore umano non te lo insegna nessuno”.
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