La leggenda azzurra si racconta in diretta parlando delle scelte del passato, della mancanza di leadership nella Juve attuale e non solo
È un Gigi Buffon a cuore aperto quello che pochi minuti fa si è raccontato in diretta su ‘Juventibus’. La leggenda azzurra in questi giorni ha presentato e sta parlando del suo libro ‘Cadere, rialzarsi, cadere, rialzarsi’ in cui è racchiusa molta della sua carriera e dei personaggi, anzi le persone che ha incontrato. In live con Luca Momblano, Massimo Zampini e Mario Desiati, che ha scritto appunto il testo. E l’ex portierone della Juventus è rimasto quasi un’ora e mezza a parlare a ruota libera di aneddoti, momenti bui e gioie, i motivi dietro alle sue scelte, i suoi pensieri.
Senza far mancare qualche riferimento al presente, come alla speranza – da capo delegazione della Nazionale – di qualificarsi finalmente al Mondiale: “Penso che il terzo sia quello buono dopo due fuori, anche per la legge dei grandi numeri. Anche perché ora partecipano più squadre, quindi direi che ci saremo“. Non si accettano alternative, giustamente. Buffon come tutti sta scoprendo la nuova Juventus di Thiago Motta, che per tanti manca di personalità e uomini di leadership: “In questa Juve probabilmente c’è una necessità di accentrare questo tipo di leadership verso il gioco, magari l’allenatore, diciamo così. I giocatori sono di ottimo livello. Non devono però solo diventare meri esecutori, ma devono avere la personalità in alcuni momenti di fare determinate scelte, anche sbagliate. Magari Perin mi sembra un profilo di leadership, lo stesso Danilo. Poi gli altri non li conosco bene, ma da quello che traspare dalle interviste, da come parlano, mi sembrano loro. Koopmeiners può diventare leader tecnico, visto che non l’ho ancora sentito parlare. Comunque è normale manchi un po’ questa cosa, è una squadra rinnovata. Ha scelto di sposare il credo del gioco. E Thiago Motta mi sembra sia quello con più leadership nella squadra in questo momento”.
Buffon: “Conte esperienza incredibile, ti spinge verso un limite che non sai neanche di avere”
Poi torna sul passato, sui compagni e gli allenatori a cui è più legato. Anche se strappargli una preferenza è assolutamente impossibile: “Da ‘nazionalista’ ho amato tutti i miei compagni italiani, neanche li nomino, li ho amati tutti e li sposerei tutti. Gli stranieri mi incuriosivano. Come carisma e personalità penso a Tevez, Alves, Evra, Nedved. Io quando non vedo altruismo non ci vedo più, chi mi emoziona entra a far parte della schiera dei giocatori che ho amato”.
Un pensiero anche su Antonio Conte, ora al Napoli: “Degli allenatori tendi a preferire quelli con cui hai condiviso percorsi vincenti. Perché di solito andiamo tutti più d’accordo, siamo più in sintonia, siamo tutti più belli, furbi e intelligenti. Conte rappresenta qualcosa di speciale, prima è stato il mio capitano alla Juve e poi allenatore. Più che allenatore però è stata la persona che ha rinfrescato in me cosa significava rappresentare la Juve. E lo avevamo un po’ perso. Mi ha fatto tornare una cattiveria agonistica, una rabbia, una voglia di primeggiare che si era fermata. Con Antonio fai una esperienza incredibile dal punto di vista umano, professionale. Capisci di avere delle capacità di risorse ed energie anche mentali che non pensavi, ti spinge fino al limite di quello che puoi dare, un limite che non sapevi neanche di avere. E lui ha dato senso alla mia scelta sei anni prima, nel 2006, di restare alla Juve perché avevo in testa di rivincere lo scudetto. Lo scudetto con lui quindi mi ha riappacificato con me stesso, pensavo di aver dato alla causa qualcosa di personale e importante, volevo almeno la gratificazione dello scudetto, pensavo di meritarlo”.
Buffon: “Addio alla Juve, ho messo davanti il club. Juve-Lecce? Sento ancora il brivido”
Buffon torna poi anche sugli ultimi anni di carriera e il primo addio alla Juventus: “Ti si riconosce il giusto tributo solo quando vai fuori dai co..ioni. Puoi chiamarti anche Buffon, ma a un certo punto devi comunque toglierti dal ca..o – dice Gigi senza usare decisamente mezzi termini -. Io dovevo smettere col Mondiale nel 2018, ma a novembre non ci siamo qualificati. La Juve aveva preso Szczesny in previsione del mio ritiro, poi mi hanno proposto di giocare la Champions. Ma io mi sono messo nei panni della società, avrei creato un problema anche se volevo rimanere. Psg? Mettetevi nei panni di uno che a 40 anni riceve quella chiamata di una squadra incredibile che ti offre un sacco di soldi, anche se per i soldi non ho mai fatto un cavolo. Ma che ti offrono quei soldi ti fa sentire vivo, figo. Come se tu fossi Sophia Loren, hai 80 anni e il ragazzo di 20 anni lascia la moglie per te. Alla Juve magari non ha fatto piacere, ma hanno capito. Se fossi rimasto avrei fatto prevalere obiettivi ed esigenze personali invece che del gruppo. Avendo fatto il capitano della Juve non potevo non sapere le priorità e i pensieri della società. L’anno dopo stavo andando al Porto, ma Paratici mi chiese di tornare. All’inizio penso che tornare e fare il secondo non fosse il massimo, ma poi dico sì. Anche questa per me è una dimostrazione del bene che vuoi alla causa. Nonostante io pensassi di poter fare il titolare per altri due anni, per il bene dei miei compagni e della gente, anche mio, accetto un ruolo secondario”.
Infine Buffon torna anche sul famoso erroraccio in Juve-Lecce nel 2012 che stava per costare lo scudetto: “Dopo non ho avuto paura, ma nervosismo tantissimo. Sapere che andavano trovate le energie giuste per affrontare un’altra gara. Quando hai la spada di Damocle sulla testa e sei portiere non è proprio così semplice e scontato ritrovare un equilibrio generale. La verità è che penso di essere stato un portiere che ha sbagliato abbastanza poco. Quindi le poche volte che sbagliavo era uno choc. Quando Bertolacci mi ruba palla e segna, io ho un brivido che mi parte dalla testa e finisce alla caviglia che ho presente e chiaro ancora oggi”.