L’ex ct della Nazionale ha parlato dell’importanza della leadership nella sua carriera e la gestione di determinate situazioni
È Roberto Mancini il grande ospite del nuovo incontro del Laboratorio Academic Gym nell’ambito del corso ‘Il Giurista entra in Campo’ tenuto dal professor Guglielmo Stendardo. L’ex ct della Nazionale, campione d’Europa nel 2021, ha parlato agli studenti in un convegno che ha avuto come focus il tema ‘Talento e Leadership ispirata dalle strategie vincenti’.

L’allenatore jesino, reduce dall’avventura con l’Arabia Saudita, è tra i nomi caldi del totoallenatore di diverse big di Serie A, in primis la Juventus che lo ha cercato anche per prendere il posto di Thiago Motta mentre di Roma si era parlato prima dell’arrivo di Ranieri a novembre. Ma è un profilo di enorme prestigio che può fare gola ancora a entrambe, e non solo. Bocche cucite però sui temi d’attualità o su allenatori e situazioni specifiche, anche quando abbiamo provato a incalzarlo sulla Juventus. Problema di leadership o tecnico quello di Thiago Motta in bianconero? “Non ho idea”.
Ma sono stati tanti e significativi i temi di carattere generale, in particolare sugli allenatori e le proprie responsabilità, legato al rapporto con la società: “Prima di tutto devo capire dove sto andando, con chi lavoro, io ho le scelte uniche di prendere un certo tipo di giocatori, lo discuto con ds e dg – ha risposto a Calciomercato.it -. Poi si controllano i costi, magari voglio un giocatore che ha un costo elevato. Però l’allenatore ha delle responsabilità. Per la squadra e le scelte che fa. Poi io penso che l’allenatore ha le sue colpe e se le cose non vanno è giusto che se le prenda. Quando vinciamo siamo in più sul carro, ma l’allenatore sceglie la squadra e decide i giocatori. E a volte penso sia anche giusto che si prendano delle colpe, sono anche quelli che guadagnano di più”.
“Si fanno degli errori, è normale sia l’allenatore che paga per primo. A meno che non abbia scelto nessun calciatore, ma vengono sempre presi in accordo tra società e mister. Raramente sono scelti solo dalla dirigenza. E non si possono cambiare tutti i giocatori se le cose non vanno. Ma se uno decide di prendere un allenatore deve dargli il tempo. In Inghilterra negli ultimi anni si dà un po’ meno, prima avveniva di più. In Italia c’è sempre stata questa cultura che se le cose non vanno dopo sei mesi l’allenatore viene messo in discussione. Se si punta su un allenatore può avere bisogno di più tempo. Poi certo, è importante anche avere una società che ti supporta”.
Mancini e il futuro: “Bisogna saper scegliere”
Cosa ti senti di suggerire agli stutendi per realizzare i propri sogni?
“Io non credo debbano ascoltare me, io porto la mia esperienza. Sono giovani che hanno una vita davanti. Ho avuto la fortuna di essere un talento molto giovane, all’inizio della mia vita calcistica pensavo che bastasse il talento, che andasse da solo. Ma non è così. Il talento va migliorato e lavorato ogni giorno, bisogna adattarsi alle situazioni. Se uno ha talento deve pensare che ogni giorno bisogna essere pronti a impegnarsi, sacrificarsi, solo così si possa poi mettere il proprio talento a servizio degli altri. La bellezza di una persona talentuosa è questo, essere al servizio degli altri, nel calcio è ancora più importante. Ci sono stati momenti nella mia vita che pensavo bastasse, invece non è così. Ho perso qualche anno per questo motivo, ma quando l’ho capito le cose sono andate meglio. Bisogna sempre impegnarsi, anche quando le cose non vanno bene. Sono i momenti in cui bisogna essere più forti, questo è molto importante”.
Sulla vittoria dell’Europeo. “Un leader deve avere una visione molto ampia, più di quanto si possa pensare. Questo è fondamentale e va fatto in modo che la visione possa essere condivisa dal resto del gruppo, bisogna farceli credere, spiegarsi bene. L’Europeo è stata una cosa incredibile, però non è stato quel mese lì. Il nostro era un percorso di 3-4 anni in cui non avevamo perso, avevamo fatto cose incredibili. Quando sono arrivato dissi che dovevamo vincere l’Europeo, ci credevo davvero. Piano piano ci hanno creduto tutti, con le cose che miglioravano. Per raggiungere un obiettivo importante bisogna guardare la luna e cercare di prenderla, anche se sembra impossibile. Se ci credi e riesci a farti seguire dagli altri sei un leader perfetto. Sapendo che ci sono delle difficoltà, inaspettate, il leader è in grado di prevedere cosa può accadere ed essere pronto con la soluzione”.

Su Vialli. “Vialli era un leader vero, in tutti i sensi, un uomo straordinario, simpaticissimo, allegro, intelligente, colto, siamo stati insieme nella nostra età più bella, oltre a giocare ci divertivamo anche. È stato un fratello. In quel mese dell’Europeo aveva preso sulla testa dei giocatori, sono stati momenti emozionantissimi, la semifinale e la finale. È stato un uomo straordinario”.
Lei dice che vincere è importante, ma fa la differenza il modo in cui si vince. “Vincere è l’obiettivo primario, poi ci si può arrivare per diverse vie. Sicuramente farlo bene, con rispetto degli altri. Lavorare in Inghilterra 4 anni è stato importante, queste sono cose che contano. Arrivarci facendo un percorso buono in tutti i sensi è la cosa migliore. Poi si perde e si vince. Quando si perde è importante rialzarsi subito senza stare lì a pensare troppo a perché e per come. L’importante è rialzarsi subito, non è possibile vincere sempre. Si gioca ogni tre giorni, una volta sei il migliore poi dopo tre giorni il peggiore. Ci siamo passati come giocatori e come allenatori, questo è lo sport, se riusciamo a fare queste cose è un vantaggio”.
Le caratteristiche principali che un manager deve avere per gestire un top club? “Avere una grande visione. Riuscire magari a capire più in là di quello che si può vedere. Magari vediamo un giocatore che ha buone qualità, un altro ha una visione più ampia e pensa che invece possa diventare un campione. Bisogna essere empatico, con il club, i giocatori. Devi trasferire il tuo pensiero ad altre persone. Poi si migliora anche dagli errori”.
I problemi più importanti a cui si va incontro nel mestiere di allenatore e come si possono risolvere? “Il mister deve pensare a tutto. Risolvere i problemi di tutti. Poi devi sapere tecnicamente quello che devi fare. Hai a che fare con tanti ragazzi, dei giovani, magari di estrazione sociale e nazionalità diversa. Instaurare un buon rapporto con i ragazzi è un po’ come parlare con i propri figli. Poi magari c’è chi non gioca e non è felice, bisogna coinvolgere anche chi non è titolare. L’allenatore deve essere preparato per risolvere i problemi di tutti. Se sei il capo di un gruppo devi prendere delle decisioni, ascoltando anche i collaboratori. Però poi quando vinci siete in tanti, quando perdi sei da solo”.
I suoi obiettivi futuri? “Vediamo, nel calcio può cambiare tutto dalla sera alla mattina. Bisogna saper scegliere (la squadra e il momento, ndr)”.
Lei ha allenato il miglior Chiesa e il primo Perisic, poi diventato decisivo. Ci sono giocatori che la leadership ce l’hanno dall’inizio e altri la acquisiscono. Si allena? “Uno la leadership ce l’ha innata, o se ce l’hai la devi allenare. Questo capita ad giocatori e giocatori. Poi Perisic veniva da fuori, difficoltà ne hanno tutti. Chiesa forse è stato il migliore in quel periodo”.
Il calcio italiano è vecchio e senza talento o può tornare ai lustri del passato? Perché i giovani faticano a essere titolari? “L’Italia ha avuto decenni di giocatori incredibili. Si parla di tanto tempo, ce n’erano a vagonate. Ogni squadra, anche di medio-bassa classifica, aveva giocatori pazzeschi. Per 20-30 anni avevamo i migliori al mondo ,ora molto meno.Una volta si giocava per strada, all’oratorio e poi ci si andava ad allenare. Stranieri? I tempi sono cambiati, ma ai nostri tempi quando c’erano campioni i nostri giovani migliorava. Solo a vedere camminare Maradona si migliorava. Se si prendono stranieri forti è cosa buona, se prendi quelli che valgono meno si possono dare chance agli italiani”.
Differenze nelle dirigenze per modi di lavorare? “In Inghilterra l’allenatore faceva tutto. Organizzava i viaggi, faceva la tattica. Non esistevano i direttori sportivi, l’allenatore decideva qualsiasi cosa. A volte non è male, devo dire. In Italia c’è direttore sportivo, il dg. Ora è cambiato in Inghilterra, tutti hanno il ds. Ma gli allenatori erano liberi, la proprietà non interferiva Poi se vinci o perdi in Inghilterra la sera tutti al pub. In effetti è una partita di calcio, se perdi ti rifai alla partita successiva”.
In Serie A i due allenatori che incidono di più chi sono? “Gli allenatori italiani sono i migliori e incidono tutti sulla propria squadra. Frequentano Coverciano per tanti anni, imparano e fanno esperienze. A livello tattico e di calcio sono i migliori e tutti incidono, poi a volte i risultati vengono e altre no”.
Alla Juve Thiago Motta ha avuto un problema di leadership? “Non ho idea”.
Sulla scelta di far giocare insieme Jorginho e Verratti. “Ci sono allenatori che all’inizio della carriera anno un giocatore tecnico, più fisico. In due facevano se sono bravi e tecnici possono giocare insieme, mi dicevano che non potevano giocare insieme. È calcio, si usano i piedi. La prima cosa che devi guardare se uno tecnicamente è valido, poi si può crescere fisicamente”.
Un allenatore può non essere compatibile con una piazza o con un certo profilo? “Sì”.
Per evitare gli infortuni non traumatici che consigli dà a mister e preparatori? “Io ho sempre cercato di fare una vita da professionista, quello aiuta molto. Ho sempre cercato di curarmi e allenarmi bene, riposarmi per recuperare, non bevo alcol, poco, non bevo superalcolici, non fumo. Ho sempre avuto una vita consona con il mio lavoro, non voglio diventare un allenatore con una pancia così che non riesce neanche a correre”.
Quale tra gli scudetti all’Inter è più affezionato? Il primo lo sente suo? “Non rispondo”.